Appalti e consulenze, “rapporto malato tra Ato rifiuti e ditte”: chieste tre condanne

 
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Gela. Nel periodo finito sotto indagine, ci sarebbe stato un “rapporto malato tra Ato Cl2 e ditte”. Il pm Luigi Lo Valvo ha esposto le proprie conclusioni, al termine del dibattimento scaturito da una vasta inchiesta, concentrata su presunte intese corruttive nella gestione di lavori e consulenze, affidati dall’Ato rifiuti. Ha parlato davanti al collegio penale, presieduto dal giudice Miriam D’Amore (a latere Eva Nicastro e Martina Scuderoni). L’attività di verifica, sugli anni che vanno dal 2011 al 2013, fu portata avanti dalla guardia di finanza e dalla procura, che iniziarono a passare in rassegna i numeri dell’Ato, allora condotto dal commissario Giuseppe Panebianco. Nei suoi confronti, per peculato, è stata chiesta la condanna a due anni e sei mesi di reclusione, con il riconoscimento delle attenuanti. La prescrizione ha sostanzialmente già fatto venire meno gran parte delle contestazioni mosse agli imputati. Il pm Lo Valvo, che ha seguito l’istruttoria insieme all’altro sostituto, Mario Calabrese, ha anche chiesto l’assoluzione per uno dei capi di accusa. Tre anni e quattro mesi, invece, è la richiesta avanzata per le posizioni del dipendente comunale Rocco Incardona e di Rosa Caci. Il non doversi procedere, proprio per la prescrizione ormai maturata, è stato indicato dal magistrato per le altre contestazioni mosse a Nunzio Li Pomi e Sergio Occhipinti, a loro volta imputati. Si tratta di referenti delle aziende, che da quanto indicato dai pm avrebbero controllato la gestione dei lavori e degli affidamenti, nella discarica Timpazzo. “In apparenza, erano tutti atti regolari – ha proseguito il pm – ma venivano disposti solo per le loro finalità, in violazione della normativa sugli appalti. Gli affidamenti erano per aziende, solo formalmente diverse tra loro, ma in realtà controllate sempre dalle stesse persone”. Il magistrato ha parlato di “mala gestio”, passando in rassegna le consulenze, gli incarichi professionali, le sponsorizzazioni e le assunzioni, che in quel periodo vennero effettuate dall’Ato. Le risultanze richiamate hanno portato il pm Lo Valvo a ritenere che il vero amministratore dell’Ato Cl2 non fosse Panebianco, “ma di fatto un dipendente comunale”, poi deceduto e che con il commissario avrebbe avuto stretti rapporti. A causa della morte, è uscito dalla lista degli imputati. Anche su questo versante si è concentrata la disamina. Per l’accusa, la presunta corruzione sarebbe stata alimentata da rapporti tenuti dall’allora commissario Panebianco, sia con dipendenti comunali che con imprenditori, impegnati nei lavori a Timpazzo.

Durante l’istruttoria dibattimentale, è stato citato il caso di un Rolex, mai individuato, che pare fosse un regalo destinato a Panebianco, ma sul quale non ci sono stati riscontri pratici. Anche il flusso di denaro dei conti degli imputati è stato monitorato. Assunzioni ritenute sospette, per i pm, ci sarebbero state sia tra le fila dell’Ato che in quelle delle aziende che lavoravano a Timpazzo. L’Ambito finalizzò un rapporto di lavoro anche con il figlio dell’allora presidente del tribunale, “un praticante avvocato ancora non abilitato e originario della provincia di Siracusa”, ha detto il pm. Per l’accusa, ci sarebbero elementi per ritenere che alcune consulenze e incarichi professionali fossero autorizzati solo per coprire ipotesi di corruzione, così come negli appalti per i lavori a Timpazzo. Tutti gli imputati hanno sempre negato gli addebiti e per le difese, anche nel corso del dibattimento, non sarebbero mai emersi elementi concreti a supporto delle contestazioni. A fine marzo, toccherà proprio ai legali degli imputati (Maria Licata, Tommaso Vespo, Rocco Guarnaccia e Fabio Fargetta) esporre le rispettive conclusioni.

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