Gela. Quando l’amore supera le barriere e ogni limite appare solo un dettaglio. Questa è la storia di una coppia che ha coronato il sogno d’amore. Fin qui non ci sarebbe nulla di nuovo, se non fosse che a sposarsi sono stati Ivano Rapisarda, condannato a tre ergastoli definitivi e imputato di trenta omicidi, e una donna modenese.
Lui ha passato più anni dietro le sbarre che fuori. Oggi ha già scontato più della metà dei suoi anni in galera. Ivano è riuscito a coronare il desiderio di sposarsi. L’ha fatto lo scorso 24 giugno nel carcere di Sulmona. Una storia fatta di lettere d’amore, pensieri trascritti e riportati in un blog. Lei, la modenese, Barbara non ha avuto dubbi e dinanzi a “paggetti” graduati (due guardie carcerarie), data la circostanza, ha detto si, legandosi ad Ivano per la vita. Un amore vissuto in pieno, liti comprese.
I due hanno coltivato la loro storia fino a decidere di mettere un sigillo al tanto agognato amore. Ivano, divenuto uomo, appare più volte pentito nelle molteplici lettere, di quella gioventù bruciata e vissuta con fin troppa immaturità. Mantiene rapporti epistolari con chiunque voglia comunicare con lui. Ha iniziato a scrivere un libro in cui racconta il terribile periodo degli anni ’90 in città che gli è costato un prezzo per lui, caro e amaro, la libertà. Un amore vero a tal punto che lei ha voluto conoscere a Gela i parenti del futuro sposo. Ha contato i giorni e dopo avere detto sì nel carcere di Spoleto è tornata nella sua casa di Modena.
Ivano Carmelo Rapisarda aveva 19 anni quando venne trovato dentro una botola di un appartamento di Settefarine. Era nascosto lì da tre giorni perchè temeva di essere scoperto dopo la strage del 27 novembre del 1990. Nel carcere di Spoleto sta scontando tre ergastoli definitivi: uno riguarda proprio la strage di Gela, l’altro il duplice omicidio di Porto Empedocle. Oggi Ivano Rapisarda ha 42 anni. Per 15 anni è stato sottoposto al 41 bis. Nel suo blog si presenta così. “Ero nato a Catania il 9 gennaio 1971. Ero nato, perché ormai da molti anni, troppi anni, sono morto, senza speranza e senza futuro. Sono stato arrestato a diciannove anni, sono stato imputato di una trentina di omicidi e condannato a tre ergastoli, mi trovo recluso nel carcere di Sulmona. Sono stato sottoposto per quindici anni al regime di tortura del carcere duro del 41 bis”.
Nel suo blog scrivono amici di Gela che lo chiamano “fratello”, nipoti e parenti. “Se volete sapere come vive – scrive Rapisarda – cosa pensa e cosa sogna un uomo che ha passato più anni in carcere che fuori, un ragazzo che è cresciuto e sta invecchiando in carcere, io sono qui, nel carcere di Sulmona per rispondere alle vostre domande. Sappiate che nel mondo dei vivi il bene spesso si trasforma in male, invece nel mondo dei morti viventi il male si trasforma in bene ma non c’è mai nessuno che se ne accorge, per questo vorrei comunicare con voi”.