Gela. “I ragazzi gelesi non sanno comunicare. Si approcciano al mondo da un telefonino e non ne riconoscono gli effetti della dipendenza”.
E’ quanto affermato da Sandra Micciché, psicologo dell’osservatorio scolastico che ha condotto il progetto “Cyberlife”, la quale aggiunge: sono on-line fino a 12 ore al giorno. Praticamente non hanno una vita normale se si escludono le 6 ore trascorse a scuola.
Sono stati 225 i ragazzi, 118 femmine e 107 maschi, di età compresa tra 10 e 13 anni provenienti da tre diverse scuole gelesi a partecipare al progetto i cui esiti sono stati illustrati stamattina durante il convegno “Vite apatiche: le nuove emergenze adolescenziali. Troppo web, poco studio e tanta anaffettività”, organizzato da Sandra Scicolone, dirigente dell’istituto “Ettore Romagnoli”.
Il convegno ha permesso di lanciare un monito a ragazzi e genitori per un uso consapevole del telefonino e dei social network più in generale. “E’ sicuramente un strumento eccellente – ammette Marica Marino, magistrato della sezione penale del tribunale di contrada Giardinelli – Bisogna non lasciare che il mondo virtuale prevarichi sul reale. Sicuramente c’è troppa leggerezza e le vittime di cyber-bullismo e sexiting non denunciano. Si tratta di due reati non ancora qualificati ad hoc”.
Tra i relatori c’era anche Francesco Pira, il sociologo e giornalista che ha parlato di “genitori adolescenti”, ovvero di genitori ancora adolescenti di cattivo esempio per la formazione degli stessi ragazzi. Secondo Pira “bisogna introdurre delle norme sull’utilizzo dei telefonini”, idea condivisa anche dal magistrato Marica Marino che ha suggerito “di togliere ai ragazzi i telefoni per una settimana consecutiva”.
Il 50 Il progetto “Cyberlife” ha permesso di studiare il comportamento dei 225 ragazzi campione, privandoli per appena due ore degli avveniristici smartphone. “I ragazzi hanno mostrato tutti i sintomi della dipendenza – assicura Sandra Micciché – Abbiamo chiesto di lasciare su un tavolo i loro telefonini accesi e in modalità acustica. Non appena si sentiva uno squillo, di chiamata o messaggio, la maggior parte dei ragazzi si irritava. C’è chi agitava le mani. Qualcuno ha perfino chiesto di potere rispondere o leggere l’sms ricevuto”.
L’aspetto più preoccupante evidenziato dal progetto è quello riferito ai rischi che corrono quotidianamente i giovani intervistati. “La metà dei ragazzi – aggiunge Micciché – ha confermato di avere ricevuto via internet richieste a sfondo sessuale, come baci o incontri, ha inviato fotografie e dato accesso ai propri dati a persone sconosciute. C’è chi ha ammesso di utilizzare carte di credito prepagate per fare acquisti on-line. Quando abbiamo detto di non pubblicare fotografie osè su internet loro, candidamente, hanno risposto: anche la mamma lo fa!”.