Gela. Per il carabiniere del servizio interno dell’Aisi Marco Lazzari e per quello del Ros Cristiano Petrone, era “zio Totò”. Al sessantenne Salvatore Rinzivillo i due militari avrebbero passato informazioni riservate, per agevolare l’organizzazione mafiosa. Ci sarebbero stati accessi abusivi alle banche dati, a disposizione delle forze dell’ordine. Rinzivillo, da alcuni anni detenuto al 41 bis e già coinvolto nell’inchiesta antimafia “Extra fines” perché considerato a capo dell’omonima famiglia di Cosa nostra, è stato condannato a dieci anni e otto mesi di reclusione. Il dispositivo è stato letto in aula dal presidente Miriam D’Amore, a latere Francesca Pulvirenti e Martina Scuderoni. I pm della Dda di Caltanissetta Davide Spina e Nadia Caruso, al termine della requisitoria, avevano chiesto la condanna a dodici di detenzione. I due carabinieri sono già stati condannati per questi fatti e a loro volta sono finiti nel vortice della maxi inchiesta “Extra fines-Druso”, che ha avuto una costola romana. La difesa di Rinzivillo, sostenuta dall’avvocato Roberto Afeltra, ha invece respinto le contestazioni. Esponendo le proprie conclusioni, il legale ha ammesso diversi precedenti di Rinzivillo, anche per mafia, ma ha escluso che possa mai aver avuto rapporti con esponenti delle forze dell’ordine, fino al punto di corromperli per avere informazioni riservate. Dati, che per l’accusa, gli sarebbero serviti per avere maggiori informazioni su alcuni soggetti che avrebbero gravitato nel giro del traffico di droga, nel quale lui stesso sarebbe stato coinvolto. In cambio, i due militari avrebbero ricevuto somme di denaro, anche se pare che i patti non fossero stati del tutto rispettati dal sessantenne Rinzivillo. La difesa, anche ripercorrendo il contenuto di pronunce del passato emesse nei confronti dell’imputato, ha citato la recente decisione della Corte di Cassazione, che ha annullato senza rinvio una sentenza sfavorevole impostagli nel filone romano del procedimento “Extra fines-Druso”. I giudici di Cassazione hanno escluso il metodo mafioso e l’agevolazione dei clan. Il legale, inoltre, ha richiamato una decisione del tribunale di sorveglianza romano, che sette anni fa negò la pericolosità sociale di Rinzivillo.
Per il legale, il sessantenne avrebbe preso le distanze dal clan e dalle attività illecite; per i pm della Dda di Caltanissetta e per l’antimafia romana è invece da ritenersi il nuovo capo, in grado di avere rapporti anche con esponenti infedeli delle forze dell’ordine. Il collegio penale ha disposto la condanna, pronunciata solo pochi minuti prima della lettura del dispositivo del procedimento principale “Extra fines”, che ha imposto pesanti verdetti nei confronti dei fratelli del sessantenne, gli ergastolani Antonio Rinzivillo e Crocifisso Rinzivillo.