Gela. Le armi del gruppo di fuoco della famiglia Emmanuello venivano conservate in un podere di campagna, posseduto da uno degli affiliati. Il collaboratore di giustizia Salvatore Cavaleri, già uomo vicino ai reggenti di cosa nostra locale, in aula ha raccontato anche i particolari di un fallito omicidio. “Dovevamo uccidere Salvatore Burgio – ha detto rispondendo alle domande del pm della Dda di Caltanissetta Luigi Leghissa – lo seguimmo nei pressi della caserma dei carabinieri. Sulla sua vespa, però, c’era anche una ragazza e, così, dissi agli altri di non agire”. Nel mirino di Cavaleri, era finito anche Orazio Meroni, che a fine anni ’90 aveva avuto contrasti con l’allora reggente Crocifisso Smorta. Prima, una bara con dentro alcuni proiettili piazzata nei pressi di un podere di campagna di sua proprietà, poi la richiesta a Smorta di autorizzare l’omicidio. “Meroni – ha detto ancora Cavaleri – seppe che a piazzare quella bara era stato anche Giuseppe Scicolone e, dopo qualche giorno, vennero sparati colpi di pistola contro la sua abitazione. Dissi a Smorta che, secondo me, era stato Meroni e che bisognava ucciderlo. Smorta, però, prese tempo e decise di risolvere la questione, parlando direttamente con Meroni”. Con gli arresti dei capi storici della famiglia Emmanuello, le “chiavi” della cassa che custodiva le armi del gruppo passarono proprio a Cavaleri. “Venni arrestato anche io – ha detto – nel 2002, quando uscii dal carcere, Domenico Vullo mi portò un borsone con dentro le armi, ma erano oramai arrugginite e non più efficienti. Addirittura, da una mitraglietta partì un colpo che stava quasi per raggiungere Paolo Portelli”.
Le armi. Il collaboratore ha ammesso di conoscere Giacomo Cagnes, uno dei presunti armieri che si sarebbe messo a disposizione della famiglia. “Gli portai alcune pistole da sistemare – ha detto – sapevo che era un militare della Marina. Me lo presentò Crocifisso Smorta”. Una pistola sarebbe stata fornita anche ad un altro imputato, Giovanni Avvento. “Gliela feci avere a Bulala – ha spiegato – dove gestiva un’attività per la vendita di concimi e fertilizzanti. Era un ordine di Smorta, non so a cosa gli servisse”. A disposizione di Cavaleri, ci sarebbe stato anche Giuseppe Stimolo, altro imputato, chiamato a rispondere davanti al collegio penale del tribunale, presieduto dal giudice Miriam D’Amore, a latere Marica Marino e Silvia Passanisi. “Stimolo era un ragazzo vicino a me – ha concluso – era insieme a noi, anche quando avremmo dovuto uccidere Salvatore Burgio”. I difensori, gli avvocati Carmelo Tuccio, Mariella Giordano, Flavio Sinatra, Cristina Alfieri e Giuseppe Di Stefano, invece, escludono il coinvolgimento degli imputati nella gestione delle armi utilizzate dal gruppo di mafia.