Gela. L’unità d’Italia. Dal testo di Indro Montanelli “Storia d’Italia” volume 32, nel gennaio del 1861quando ancora resistevano Gaeta, Civitella del Tronto e Messina, si svolsero, per la prima volta a carattere nazionale le elezioni, che nel marzo dello stesso anno, alla camera proclamarono l’unità d’Italia e Vittorio Emanuele II fu acclamato Re d’Italia con i suoi legittimi successori, “per volontà di Dio e della nazione”.
Il grande storico Italiano specifica che su oltre 20.000.000 di abitanti, gli aventi diritto erano solo 400.000 e solo il 50% votarono, questi furono quelli che proclamarono Vittorio Emanuele II re d’Italia, precisamente solo l’1% della popolazione totale.
L’incarico di formare il nuovo governo fu affidato a Cavour che si sforzò di dare al nuovo governo una veste nazionale piuttosto che semplicemente piemontese, proponendo esponenti di tutte le regioni d’Italia.
Peruzzi per la Toscana, Fanti e Minghetti per l’Emilia, De Sanctis e Niutta per Napoli e Natoli per la Sicilia etc.
Ma nel mese di aprile quando si presentò alla camera, fu investito dalle parole ingiuriose del Generale Garibaldi e fu costretto a rinviare la seduta. Garibaldi, dopo avere conquistato Napoli, si ritirò a Caprera, ma l’insistenza dei suoi sostenitori, una volta eletto ritornò in Parlamento.
Il nostro storico Indro Montanelli è molto interessato a tramandare ai posteri i dissidi esistenti tra Cavour e Garibaldi che ci vengono descritti con dovizia di particolari, altro particolare molto importante da tramandare alle generazione future è stato il comportamento di Cavour in punta di morte, se fosse rimasto ateo o se si fosse convertito al cristianesimo, utile per occupare Roma senza intaccare la religiosità del Papa.
L’irruzione di Garibaldi alla camera dei deputati torinesi fu cruenta e il Generale disse: “Quando, per l’amore della concordia, l’orrore di una guerra fratricida provocata da questo stesso ministero” a questo punto Cavour lo interrompe gridando: “Non è permesso di insultarci” e subito dopo “c’è tra me e il Generale un fatto che ci separa: io ho creduto di adempiere il mio dovere consigliando al Re la cessione di Nizza a Napoleone III di Francia”. E subito dopo interrompe la seduta.
Questo discorso scandalizzò anche il Generale Cialdino, assassino e pluridecorato dai Savoia, che scrisse una lettera riprovevole a Garibaldi: Ma i dissidi del Generale con Cavour non erano solo quelli della cessione della sua città natale alla Francia, ma più profondi, perché lui liberale non accettava le iniziative autonome di Garibaldi repubblichino e dittatore amico di Mazzini, che aveva tanta voglia di occupare il Veneto e il Lazio ancora fuori del Regno. Cavour moribondo davanti al prete con l’olio santo disse: “frate, frate, libera chiesa in libero Stato!”, sono le ultime parole di Cavour, era il 6 giugno del 1861.
Il Montanelli non si sofferma minimamente sulla questione meridionale si preoccupa solamente di farci sapere che i piemontesi dovevano risolvere il problema del brigantaggio nel meridione e ci ricorda solo i nomi dei briganti: Carmine Crocco Donatello, Nicola Somma, Luigi Alonzi, Gioseffi, Guerra, Caruso, Malacarne, Ciucciariello ecc, questo per ricordarci che nel mese di aprile 1861 scoppia la rivolta del nucleo dei briganti in Lucania che giustamente, come canta Eugenio Bennati, non bisogna ricordarsi di questi nomi, ma cancellarli definitivamente dalla memoria.
Questi sono gli storici Italiani e qualcuno si offende se li abbiamo definiti ipocriti e prezzolati, date una definizione voi con termini più onorevoli. Considerate però che i briganti sono stati quelli che si sono opposti al regime dei Savoia a rischio della vita mentre i liberatori piemontesi e i Savoia sono quelli che da più di 160 anni, ci tengono sotto il dominio da colonizzatori.
Un altro testo che ci piace ricordare è: “La storia”, dove nell’11° volume si tratta del “risorgimento e rivoluzione nazionale” edito da “La biblioteca di repubblica”. In quel testo la storia Italiana e sviscerata in tutti i particolari nei suoi 16 volumi di 800 pagine a tomo e la questione meridionale non trova spazio tranne che per asserire che la lotta al brigantaggio nel meridione, impegnò molto le nostre forze rinascimentali piemontesi.
Ho scoperto che il nostro più grande storico della letteratura Italiano Francesco Saverio De Sanctis, nato a Morra Irpina nel 1817, fu ministro della pubblica istruzione con i governi di Cavour e Ricasoli, studiò a Napoli nelle scuole dei suoi zii paterni, appartenne alla sinistra moderata e fu in carcere per i moti rivoluzionari del 1848, conobbe Mazzini nel 1860 e di tutti i massacri fatti dai piemontesi a partire dal 1860, lui grande studioso non riuscì a percepire assolutamente niente, era nel 1861 nel governo di Cavour quando i fatti di Bronte e la rivolta dei contadini imperversava furiosa in molte città del meridione d’Italia.
Durante la sfuriata in aula del Generale Garibaldi sulle guerre fratricida dei piemontesi era forse assente? Oppure in malattia? Certo non mi è mai capitato di leggere, in particolare, nel suo testo di storia della letteratura Italiana, uno scritto che accennasse al meridione, sua patria natia, del comportamento dei piemontesi o dei briganti.
E’ meglio ricordare gli scritti di autori moderni quale Eugenio Bennati o Enzo Mozzillo:
Enzo Morzillo :
Era la festa dellu patrono
purtavano o santo in prucessione
viecchi e criaturi alluccavano o nomme
femmene scauze pe voto a maronna
na vota all’anno sta celebrazione
e tutta la gente pe devuzione
se porta a spasso pe tutto o paese
alla faccia do populo piemuntese
a Casalduni e Pontelandolfo
campane a festa e botte di zolfo
allucca lu cristo da n’gopp’alla croce
po’ sanghe che scorre se sentja la voce
se sceta a matina stu bellu paese
se trova e surdati piemuntesi
che torce abbruciavano tutte le case
curtielli affilati e genta sterminata
fucili puntati e cape tagliate
femmene accise po’ viulentate
criaturi schiacciati e viecchi scannati
pe tutto o paese li piemuntesi
a Casalduni e Pontelandolfo
campane a festa e botte di zolfo
allucca lu cristo da n’gopp’alla croce
po’ sanghe che scorre se sentja la voce
e quanno a nutizia arrivaje alli briganti
scennetteno subbeto a n’gopp’a muntagna
e corza fujevano abbascio alla scesa
se ne era fujuto lu piemuntese
cu e man’indo sanghe e cu o core spezzato
vendetta pa’ vita io l’aggio giurato
ca fino alla morte io t’aggia scuvare
curtiello alla gola io t’aggia scannare
a Casalduni e Pontelandolfo
campane a festa e botte di zolfo
allucca lu cristo da n’gopp’alla croce
po’ sanghe che scorre se sentja la voce
E’ facile notare in questi testi secretati come la cultura celtica dei Piemontesi o dei Savoia si scontra con la cultura greco – latina dei meridionali. Infatti, la brigantessa Michela, dopo essere stata uccisa, viene esposta nuda al ludibrio dei cittadini, cultura che viene eseguita dai partigiani dopo la seconda guerra mondiale con l’uccisione di Mussolini, fucilato prima e dopo esposto a piazzale Loreto a Milano con Claretta Petacci, appesi per i piedi e per salvare l’onore della Petacci, viene tenuta la gonna con uno spillo. La cultura Greco – latina, ci tramanda Antigone, la figlia di Edipo e Giocasta che viene uccisa dal re di Tebe Creonte (fratello di Giocasta), solo perché ha voluto seppellire il fratello Polinice, morto, lottando contro l’esercito del re Creonte che voleva il cadavere rimanesse insepolto perché aveva tradito la patria e il suo re.
Piccole cose che dimostrano la differenza culturale dei nordisti rispetto ai meridionali colonizzati da più di 150 anni. Tutti i briganti e brigantesse che hanno avuto l’ardire di combattere contro i nostri liberatori piemontesi vengono uccisi senza pietà e buttati al ludibrio del pubblico cancellandoli dalla memoria storica.
Due pesi e due misure, dopo la fine della seconda guerra mondiale tutti gli oppositori al regime precedente, vengono osannati e raggiungono le vette più alte del nuovo governo e pedissequamente ricordati dalla storia patria, cancellando le foibe, l’Istria e tutti i militari periti in terra e in mare non degni di nessun rispetto, perché animali.
Ci scusiamo con gli animali veri.
Capisco che, a confronto con gli “storici” che abitualmente cita, Montanelli sia apparso a Maganuco un “grande storico”: ma va ricordato a suo onore che il vecchio Cilindro non tentò mai di attribuirsi quel titolo. Se Maganuco avesse studiato, invece, saprebbe che “i fatti di Bronte” sono dell’agosto 1860 e non del 1861; che con l’accusa al Cavour di aver scatenato una “guerra fratricida” Garibaldi nella seduta del 18 aprile 1861 si riferiva al trattamento riservato all’esercito meridionale; che non bastano i goffi versi – “secretati” da chi? – di tal Enzo Morzillo a cambiare la realtà degli avvenimenti di Pontalendolfo e Casalduni; che sul brigantaggio post unitario esistono migliaia di libri a cominciare da quello scritto dal comunista Aldo De Jaco cinquant’anni fa, che temo lui non abbia letto; che fu la “guerra di Mussolini” a mandare a morire tanti militari in terra e in mare; che i Savoia sono in esilio dal 1946; che dopo la fine della seconda guerra mondiale tra Telesio Interlandi e Pietro Lungaro si è onorato il primo, ma soprattutto saprebbe che se qualcuno oggi tentasse di riabilitare la Repubblica di Salò, fida ancella del Terzo Reich nazista, in contrapposizione alla Resistenza europea dimostrerebbe di mancare non solo di senso della storia ma anche di senso morale.
Mi scuso con i lettori; nel testo precedente ovviamente va letto:
“che dopo la fine della seconda guerra mondiale tra Telesio Interlandi e Pietro Lungaro si è onorato il secondo”, che mi auguro molti sappiano chi sia stato.
Garibaldi ” repubblichino” ?
Cavour ” in punta di morte”?
era un massone e come tale doveva collaborare al progetto inglese