Gela. Continuano a difendersi, escludendo l’esistenza di qualsiasi organizzazione capeggiata dal boss Peppe Alferi.
Alferi e Nardo si difendono. Così, davanti ai giudici della corte d’appello di Caltanissetta, è stato il turno dei difensori di Carmelo Sebastiano Alferi, fratello dello stesso Giuseppe, e Luigi Nardo. Sono imputati, insieme ad altri presunti affiliati al clan, nel processo d’appello “Inferis”. I legali Ernesto Brivido e Riccardo Lana hanno esposto le ragioni dei loro assistiti davanti alla corte, adesso presieduta dal giudice Alberto Leone. L’inesistenza di una presunta banda criminale è stata ribadita dal difensore di Carmelo Sebastiano Alferi. Tesi avvalorata, stando anche al codifensore Maurizio Scicolone, da una vera e propria concorrenza all’interno della famiglia Alferi nel settore della raccolta di ferro. Secondo le accuse, ad essere presi di mira sarebbero stati diversi imprenditori, costretti a cedere il ferro proprio agli Alferi. “Si trattava – hanno spiegato i legali di difesa – di un’attività lavorativa regolare svolta da oltre trent’anni sul territorio di Gela. Non ci fu alcuna estorsione”.
“Pochi centesimi incassati”. Sul tasto dell’assenza di elementi accusatori ha premuto l’avvocato Riccardo Lana in rappresentanza di Luigi Nardo. “Il mio assistito – ha spiegato in aula – non è affatto un mafioso. Viveva della vendita di angurie e della raccolta di ferro. Parliamo di pochi centesimi incassati a giornata”. A Nardo i magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Caltanissetta contestano proprio l’appartenenza al gruppo Alferi. Nelle scorse settimane, la procura generale ha chiesto la conferma di tutte le condanne già emesse dal gup del tribunale di Caltanissetta, per un totale di quasi cent’anni di detenzione. Spetterà, durante le prossime udienze, agli altri difensori esporre le rispettive conclusioni.