Gela. Uno dei cantieri per la posa delle rete idrica a Manfria si rivelò fatale all’operaio cinquantottenne Gaetano Accardi, morto dopo essere stato travolto dall’escavatore manovrato da un collega. Era l’aprile di tre anni fa e per lui non ci fu niente da fare. Inutili si rivelarono anche i tentativi dei medici dell’ospedale “Vittorio Emanuele”. I pm della procura aprirono un’indagine e a processo, davanti al giudice Tiziana Landoni, sono finiti il titolare dell’azienda per conto della quale lavorava il riesino Accardi e il collega che manovrava il mezzo. Carmelo Vasta e Rosario Innaco, difesi dall’avvocato Vincenzo Vitello, devono rispondere alle accuse in giudizio. I magistrati della procura ritengono si possa essere trattato di omicidio colposo. In aula, a ricostruire l’esito di un primo sopralluogo effettuato nella zona di via Santa Maria degli Angeli, c’era uno degli ispettori dell’Asp. “Ricorso che al nostro arrivo – ha detto rispondendo alle domande del pm Tiziana Di Pietro – non trovammo tracce di sangue né sull’asfalto né sull’escavatore. Le lavorazioni erano state completate quando si verificò l’incidente”. In base a quanto ricostruito, Accardi si sarebbe avvicinato al mezzo solo per accertarsi che il collega avesse concluso l’attività. Sarebbe però stato travolto, forse a causa di un errore di manovra.
“Il titolare si era momentaneamente allontanato – ha proseguito – ma era lui ad avere la responsabilità dei controlli. Abbiamo emesso delle sanzioni”. In giudizio, parti civili sono i familiari dell’operaio morto, rappresentati dagli avvocati Carmelo Terranova e Francesca Assenato, e l’Inail. I legali della famiglia hanno invece insistito sulle possibili infrazioni accertate dagli ispettori, ma anche sulle qualifiche di Accardi e del collega incaricato di manovrare il mezzo. I legali di parte civile ritengono che in quel cantiere ci siano state delle presunte anomalie. In aula, verranno sentiti altri testimoni intervenuti sul posto.