Referendum, le ragioni del “si”: Nessun operatore sulle piattaforme da decenni”

 
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“Le ripercussioni occupazionali? Una grande bugia di Governo e sindacati per difendere gli interessi di pochi”.

Ne sono convinti i promotori del referendum per il “Si” e contro la concessione perpetua di perforazione dei fondali marini. L’esempio è quello delle due piattaforme gelesi, la “Gela1” e la “Perla”, le cui concessioni scadranno rispettivamente nel 2017 e nel 2020. “Non c’è nessun operatore da decenni – dice Pietro Lorefice di Legambiente – vengono gestite a distanza e di tanto in tanto viene effettuata la manutenzione. In compenso non è stato mai pagato un solo centesimo di royalties”.

Perché? Semplice. Una legge dello Stato prevede una franchigia per chi estrae sotto le 50 mila tonnellate di petrolio annuo. E le due piattaforme offshore gelesi, secondo i dati forniti dallo stesso Ministero dello Sviluppo Economico, hanno prodotto sempre greggio sotto le 50 mila tonnellate, per una punta massima di 45 mila annue.

Tra i relatori del confronto promosso dal Movimento 5 stelle il direttore nazionale delle campagne di Greenpeace Alessandro Giannì.

Il 17 aprile i cittadini saranno chiamati a rispondere sulle norme relative alla durata delle trivellazioni a mare. Il silenzio dei media nazionali per Greenpeace è una strategia ben precisa. “In ogni piattaforma lavorano 75 persone  – ha detto Giannì – tutte le piattaforme occupano meno di 800 unità mentre nelle rinnovabili negli ultimi anni si sono persi 120 mila posti di lavoro. Le piattaforme oggetto del referendum producono il 3,2 per cento di fabbisogno personale di gas e 0,8 di petrolio. Il mondo sta andando da un’altra parte e noi ci limitiamo a continuare a perforare”.

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