Gela. Due carabinieri si sarebbero messi a disposizione del boss Salvatore Rinzivillo. Fu uno dei particolari che emerse dalla maxi inchiesta “Extra fines” e che toccò soprattutto il filone romano dell’indagine, ribattezzato “Druso”. In estate, per i militari dell’arma coinvolti la Corte d’appello capitolina ha deciso una riduzione dell’entità delle condanne, confermando invece dieci anni di detenzione a Rinzivillo. A febbraio, i ricorsi dei difensori verranno valutati dai giudici della Corte di Cassazione. In appello, è caduta la contestazione mafiosa addebitata ai carabinieri. Così, sono stati decisi sei anni e un mese di detenzione per Marco Lazzari, difeso dall’avvocato Cesare Placanica. In primo grado, era stato condannato ad otto anni. Sei anni e undici mesi per Cristiano Petrone, rappresentato dal legale Silvia De Blasis. Nei suoi confronti, in primo grado, erano stati disposti nove anni di reclusione. Per Lazzari, è arrivata l’assoluzione per uno dei capi di imputazione. Il procedimento ha riguardato anche l’avvocato Giandomenico D’Ambra (rappresentato dal legale Domenico Mariani). Già coinvolto nell’indagine “Extra fines”, il professionista avrebbe agevolato Rinzivillo per investimenti nella capitale e non solo. In appello, ha scelto un concordato mentre in primo grado era stato condannato a tre anni e sei mesi di detenzione.
Saranno i giudici di Cassazione a valutare i ricorsi dei difensori di Rinzivillo (rappresentato dall’avvocato Roberto Afeltra), Lazzari e Petrone. Gli investigatori romani, partendo sempre dai contatti del boss, sono arrivati a contestare agli imputati, a vario titolo, non solo l’accesso illecito ai sistemi informatici delle forze dell’ordine ma anche la corruzione.