Operazione “Inferis”, i soldi prestati a strozzo: tra sale bingo e supermercati

 
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Gela. La banda Alferi, sgominata a conclusione del blitz Inferis, maneggiava il denaro con la stessa destrezza impiegata per intimidire le proprie vittime. Dagli atti d’indagine, emergono giri di contanti vorticosi.

Piccole somme prestate a strozzo che, però, nel totale, assicuravano una copertura certa al capo Giuseppe Alferi e ai suoi più fedeli sodali. Sul conto della sua società personale, per la quale il presunto boss non avrebbe mai versato iva e contributi diretti, solo nel 2006 furono effettuati versamenti per quasi 80 mila euro.
Al centro dell’affare, ci sarebbero state due donne. Gli investigatori ritengono che il capitolo usura aperto nel libro mastro del gruppo fosse scritto, quasi per intero, dalla quarantacinquenne Maria Azzarelli, compagna del capo, e dalla trentottenne Antonella Bignola, dipendente della sala bingo di via Venezia gestita dalla società EuroGela giochi srl.
Sala bingo, in base alle indagini, finita nel mirino di Alferi che ne avrebbe sfruttato parte degli introiti. Nella morsa sono finiti diversi “clienti”. A procacciarli, nella maggior parte dei casi, sarebbe stata proprio Antonella Bignola.
La dipendente della sala bingo, però, si sarebbe trovata in una strana situazione: non solo usuraia ma anche vittima dei prestiti a strozzo. La donna sarebbe stata in debito con Maria Azzarelli: alla quale, mensilmente, restituiva parte del prestito ottenuto. I soldi, inoltre, sarebbero stati gestiti, stando alle conclusioni d’indagine, dal fratello di Maria “‘a maccarruni”, Vincenzo. L’uomo, quarantaseienne, trasferitosi in Piemonte da diversi anni, era in grado di manovrare molto contante destinato a confluire nei prestiti ad usura.
Secondo gli inquirenti, Vincenzo Azzarelli si sarebbe fatto strada nel settore anche in Piemonte: dagli atti d’indagine, risultano alcuni prestiti in denaro assegnati ad un imprenditore albanese trovatosi in difficoltà. Il gruppo d’usurai, sospettano i magistrati che hanno seguito le indagini, avrebbe potuto fare affidamento anche su commercianti di fiducia: dai quali ottenere favori.
Gli assegni più cospicui, infatti, sarebbero stati scambiati in un supermercato di via Tevere, e in un esercizio commerciale di via Venezia.
Gli investigatori pensano ad un rapporto molto stretto fra questi esercenti e il gruppo impegnato nei prestiti a strozzo. Negli atti d’indagine, inoltre, spunta anche un autosalone utilizzato da Giuseppe Alferi per piazzare l’auto di una sua debitrice.
Almeno quattro i casi d’usura ricostruiti dagli inquirenti: con le vittime, in un primo momento, trincerate dietro timorosi “non ricordo”.
Così, sono emerse le drammatiche vicende della titolare di una rivendita di fiori, costretta a chiudere i battenti dopo aver ottenuto i primi prestiti dal gruppo Alferi, e quella di un ex dipendente Eni in pensione, addirittura, vittima di continui furti. Il suo bancomat sarebbe stato utilizzato, indebitamente, da Antonella Bignola: capace di raggirarlo con l’uso di sonniferi.

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