Gela. Nel dicembre di venti anni fa, il niscemese Giuseppe Cilio uccise l’allora ventiduenne Orazio Sotti, finito a colpi di arma da fuoco davanti al garage della sua abitazione, a Fondo Iozza. La condanna a ventiquattro anni di reclusione è diventata definitiva lo scorso giugno. Non ci fu premeditazione, come indicato anche dalla difesa dell’imputato, sostenuta dall’avvocato Salvo Macrì. Secondo i giudici romani di Cassazione, però, Cilio avrebbe deciso di vendicare la relazione sentimentale che il giovane operaio aveva avuto sia con la sua fidanzata sia con quella del fratello. Anche Salvatore Cilio finì a processo, accusato di essere coinvolto nell’omicidio, ma venne assolto. Sono state pubblicate le motivazioni della sentenza che hanno indotto i giudici di Cassazione a non accogliere quanto riportato nelle circa ottanta pagine del ricorso presentato dal legale di Cilio, che ha messo in discussione diverse conclusioni definite dalla Corte d’assise d’appello di Caltanissetta, che rivide la condanna, riducendola a ventiquattro anni, a fronte dell’ergastolo che era stato imposto dai giudici della Corte d’assise nissena. Secondo i giudici di Cassazione, “non si scorgono crepe ricostruttive” in quanto stabilito in appello. Escludono la fondatezza di piste alternative, che invece sono state avanzate dalla difesa. Secondo il legale del quarantaduenne niscemese, non ci sarebbero mai stati elementi certi per collocarlo sul luogo dell’omicidio. Anche la dinamica di quanto accaduto è stata messa in dubbio nel ricorso, che ha inevitabilmente richiamato l’assoluzione di Salvatore Cilio. In base a questa linea, quel verdetto favorevole avrebbe dovuto indurre i giudici romani a riconsiderare la posizione dell’imputato. La Cassazione, come traspare dalle motivazioni, ha però accolto quanto stabilito dalla Corte d’assise d’appello, pur ammettendo l’assenza di premeditazione. Giuseppe Cilio non avrebbe organizzato un piano dettagliato, ma avrebbe dato seguito ai suoi impulsi “violenti”, cercando in questo modo di vendicare quello che ai suoi occhi era un affronto.
I familiari della vittima, nell’intero procedimento, sono stati parti civili e hanno ottenuto il riconoscimento del diritto al risarcimento dei danni e ad una provvisionale. Sono assistiti dagli avvocati Giuseppe Cascino, Francesco Minardi e Maria Cascino. Furono i genitori del giovane ucciso a chiedere che si facesse luce su un’atroce morte, del tutto estranea ad ambienti criminali, e rimasta avvolta nel silenzio per diversi anni.