Gela. Sono stati ammessi come parti civili i familiari del cinquantaseienne Domenico Sequino, ucciso nel dicembre di cinque anni fa, in pieno centro, a ridosso della cattedrale. La decisione l’hanno formalizzata i giudici della Corte d’assise di Caltanissetta, davanti ai quali è stato aperto il dibattimento nei confronti di Nicola Liardo, del figlio Giuseppe Liardo e di Salvatore Raniolo. Secondo i pm della Dda nissena e i carabinieri, ci sarebbero loro dietro all’azione di morte. A Sequino non venne lasciata alcuna possibilità, fu raggiunto da almeno sei colpi di pistola. L’agguato scattò nonostante la presenza di centinaia di passanti e avventori dei tanti negozi della zona. Un omicidio in grande stile e plateale, che secondo gli investigatori rientrerebbe nei canoni delle organizzazioni mafiose. Prima dell’apertura del dibattimento, i difensori, gli avvocati Giacomo Ventura, Flavio Sinatra, Davide Limoncello e Antonio Gagliano, hanno sollevato un’eccezione relativa all’aggravante mafiosa che viene imputata ai tre coinvolti. Facendo leva sul contenuto di un provvedimento del tribunale del riesame, hanno sostenuto che gli stessi magistrati avrebbero escluso la natura mafiosa dell’azione. Mettono in dubbio la competenza della Dda nissena, in favore invece della procura gelese. L’eccezione è stata respinta. L’accusa è sostenuta dal pm della Direzione distrettuale antimafia Matteo Campagnaro. I familiari, rappresentati dall’avvocato Salvo Macrì, hanno seguito fin dall’inizio l’intero iter delle indagini. Inizialmente, furono i pm della procura locale ad avviare approfondimenti, ma poi le indagini passarono in mano alla distrettuale antimafia. Secondo quanto ricostruito, Sequino sarebbe stato ucciso perché accusato di essersi impossessato di denaro che Nicola Liardo gli aveva fatto avere, così da destinarlo ad un investimento nel nord Italia.
Fatti ricostruiti già in una precedente inchiesta sugli interessi delle cosche locali fuori dalla Sicilia. Nel corso delle investigazioni, sarebbe inoltre emerso l’astio dei Liardo verso Sequino, ritenuto responsabile di aver fatto saltare il tentativo di mettere sotto estorsione l’imprenditore Gandolfo Barranco. L’ordine di ucciderlo, secondo gli inquirenti, sarebbe partito dal carcere. Nicola Liardo e il figlio avrebbero dato via libera a Salvatore Raniolo, entrato in azione insieme ad un presunto complice, allo stato non identificato. In aula, per sentire i primi testimoni, si tornerà a novembre.