Gela. Forse, qualcuno sapeva ma preferì non approfondire. Emerge questo dalle testimonianze di tre carabinieri, sentiti davanti ai giudici della Corte d’assise di Ravenna, nel processo scaturito dall’omicidio dell’allora poco più che ventenne Pierpaolo Minguzzi. Venne rapito trentaquattro anni fa ma pare subito ucciso, nonostante fosse stato richiesto un riscatto in denaro. Ne rispondono due ex carabinieri, il gelese Orazio Tasca e l’altro ex militare Angelo Del Dotto, e l’operaio Alfredo Tarroni. I testimoni, lunedì, hanno risposto alle domande, per diverse ore. Uno dei militari, sentito, ha proprio spiegato che probabilmente ci fu la volontà di non effettuare ulteriori accertamenti anche sui due carabinieri ritenuti parte integrante del commando che agì per rapire il ventenne. Intanto, i giudici ravennati hanno autorizzato una nuova perizia fonica.
Verrà raffrontata la voce registrata dello stesso Tasca, che contattò i familiari di un altro rapito, in un’azione successiva a quella Minguzzi, con quella captata durante il contatto con la famiglia Minguzzi. I due ex carabinieri, infatti, furono già condannati per un altro rapimento, finito nel sangue, con l’uccisione di un militare. Secondo l’accusa si tratterebbe dello stesso telefonista, ovvero Tasca. La famiglia Minguzzi segue l’intero procedimento come parte civile, assistita dai legali Paolo Cristofori, Luca Canella, e Luisa Fabbri. I tre imputati, invece, sono assistiti dagli avvocati Luca Orsini, Gianluca Silenzi e Andrea Maestri.