Gela. Sarebbero loro i killer del trentatreenne Matteo Mendola, gelese che viveva in Lombardia, ammazzato tre anni fa nei boschi di Pombia, in provincia di Novara. Antonio Lembo e Angelo Mancino, in primo grado e in appello sono stati condannati a trenta anni di detenzione. Saranno i giudici di Cassazione, il prossimo aprile, ad esprimersi sui ricorsi presentati dai legali di difesa, gli avvocati Gabriele Pipicelli e Giuseppe Ruffier. Dopo l’arresto, Lembo ammise i fatti, spiegando che Mendola sarebbe stato attirato in un tranello. Con la scusa di dover organizzare alcuni furti in quella zona, venne portato in un capannone abbandonato e finito, con il cranio fracassato e diversi colpi di arma da fuoco esplosi a distanza ravvicinata. Lembo tirò in ballo un altro gelese, l’imprenditore edile Giuseppe Cauchi, individuato come possibile mandante della spedizione di morte. Cauchi è stato assolto in primo grado dalla Corte d’assise di Novara (difeso dagli avvocati Flavio Sinatra e Cosimo Palumbo), ma la procura ha presentato appello, ritenendolo pienamente colpevole.
Lembo, durante l’istruttoria dibattimentale, sentito nel giudizio ai danni dell’imprenditore, ha però ritrattato, quasi escludendo di conoscerlo e negando di aver mai ricevuto da lui l’ordine di uccidere Mendola. La famiglia della vittima è parte civile nei procedimenti avviati contro presunti mandanti e killer. Il prossimo aprile saranno i giudici romani a pronunciarsi.