Gela. Le decisioni emesse dal giudice del tribunale di Gela risalgono allo scorso anno. Il giudizio di appello, invece, dovrebbe concretamente prendere il via ad inizio ottobre, dopo alcuni rinvii. I fatti sono quelli che dieci anni fa portarono alla morte dell’operaio Francesco Romano, allora trentenne. Fu schiacciato da un tubo da otto tonnellate, che pare si staccò da una catasta, nell’area della radice pontile della fabbrica Eni. Romano era alle dipendenze di una delle aziende dell’indotto, la Cosmi Sud. Erano in corso i lavori per la sostituzione della linea P2. L’attività istruttoria è stata complessa, basata sui dati di relazioni tecniche e perizie, anche di parte. In primo grado, la condanna ad un anno e otto mesi di detenzione è stata pronunciata nei confronti di Bernardo Casa, Fabrizio Zanerolli, Nicola Carrera, Marco Morelli, Alberto Bertini, Patrizio Agostini, Sandro Iengo, Rocco Fisci e Serafino Tuccio. Un anno e sei mesi di reclusione, invece, per Mario Giandomenico, Angelo Pennisi e Vincenzo Cocchiara. Infine, un anno e quattro mesi a Salvatore Marotta. Pronunce emesse con pena sospesa. Tutti i difensori hanno impugnato in appello. Le uniche assoluzioni sono state decise per le posizioni di Guerino Valenti, Fabrizio Lami e Ignazio Vassallo. I legali degli imputati, nel corso del giudizio di primo grado, avvalendosi di supporti tecnici, hanno contestato le accuse, escludendo violazioni della normativa in materia di sicurezza. Secondo la procura, invece, in quel cantiere ci furono “inefficienze”. L’indagine si basò sull’ipotesi di omicidio colposo. Imputati e società, in primo grado, sono stati condannati a risarcire i danni ai familiari dell’operaio (i genitori e la moglie).
Sono parti civili, con i legali Salvo Macrì, Emanuele Maganuco e Joseph Donegani, che a loro volta hanno concluso per le condanne. Alle società, in relazione alle responsabilità amministrative, è stato imposto il pagamento di trecento quote (da 500 euro). Decisione che tocca Eni, Cosmi Sud, Pec srl e Sg Sertec. I legali degli imputati, con l’appello, cercheranno di ottenere decisioni favorevoli, ribaltando quella emessa dal tribunale di Gela. I difensori dei manager Eni spiegarono che la posizione aziendale dei loro assistiti non poteva estendersi agli aspetti tecnici dei cantieri, non rientranti nelle loro funzioni. Anche per le difese degli altri coinvolti, furono rispettati tutti i piani di sicurezza. Secondo gli inquirenti, invece, l’area dove si verificò l’incidente mortale non era idonea.