Catania. L’inchiesta venne ribattezzata “Piazza pulita” e coordinata dall’antimafia di Catania. Fu l’imprenditore gelese Giuseppe Romano a denunciare minacce recapitategli per assumere lavoratori, pare vicini ad esponenti del clan Trigila, di Noto. Davanti al secco no dell’imprenditore, fu dato alle fiamme un autocompattatore della “Roma Costruzioni”, titolare dell’appalto per il servizio rifiuti nel Comune in provincia di Siracusa. Per quei fatti, negli scorsi giorni, i giudici della Corte d’appello di Catania hanno confermato le condanne per Pietro Crescimone e Giuseppe Casto, già in primo grado ritenuti responsabili dell’incendio del mezzo. Caddero invece le accuse di estorsione e favoreggiamento della criminalità organizzata. Le difese, che in primo grado avevano scelto l’abbreviato, si sono rivolti ai giudici di appello etnei, che però hanno confermato la decisione. Nel settembre di un anno fa, i magistrati del collegio penale del tribunale di Siracusa condannarono altri coinvolti nell’indagine.
Nove anni ad Angelo Monaco, ritenuto figura di spicco del clan Trigila, e due anni e due mesi ad Antonino Rubbino. Anche in appello, Romano e la sua azienda sono stati parti civili, con l’avvocato Fabrizio Ferrara. Stessa scelta assunta dall’associazione antiracket “Gaetano Giordano” (con il legale Valentina Lo Porto) e dalla Fai.