Gela. Angelo Mendola e Manuele Mendola, imprenditori indagati per concorso in corruzione, prendono le distanze dalle vicende che gli vengono contestate. I pm della procura ne hanno chiesto il rinvio a giudizio, insieme all’ex vicesindaco Simone Siciliano e all’allora consigliere comunale Antonio Torrenti. Tutto ruoterebbe intorno a circa 160 mila euro, somme versate dagli imprenditori per acquisire il 40 per cento delle azioni della Ssd “Città di Gela”. Il Gela Calcio, con la guida dei Mendola, disputò per due anni il campionato di serie D. Secondo gli investigatori, l’ingresso in società doveva essere ripagato dal vicesindaco Siciliano con l’affidamento di appalti alla loro azienda, anche attraverso il ruolo allora svolto da Torrenti. I fratelli Mendola spiegano di aver appreso la vicenda dalla stampa. In una nota precisano che “né loro personalmente né la società per cui operano, hanno avuto contatti con il vicesindaco Simone Siciliano in relazione alla loro attività lavorativa, che si svolge nel nord Italia, e benché mai in relazione ad appalti banditi dal Comune di Gela”, si legge. “E’ opportuno ricordare alla città e alla stampa, che i signori Mendola per ben due anni hanno sostenuto con le proprie risorse il calcio nella città di Gela, avendo avuto rapporti tesi sia con l’amministrazione comunale che con l’allora vicesindaco, ma solo per la vicenda dello stadio – si legge ancora – unico motivo che ha indotto gli stessi a disimpegnarsi dal calcio. Infatti, ad oggi si deve constatare che le promesse di riapertura dello stadio sono rimaste lettera morta, mortificando questa situazione non solo chi opera nel settore e investe ancora nel calcio, ma tutta la cittadinanza”. Allo stesso tempo, si dicono fiduciosi nell’operato della magistratura.
“Esprimono la massima fiducia nell’operato degli organi inquirenti e nell’operato della magistratura locale, che saprà fare luce su tutta la situazione, riservandosi di fornire ogni chiarimento nelle opportune sedi – conclude la nota – non può non sottolinearsi come notizie di tal guisa che investono non solo i diretti interessati ma indirettamente la società per cui operano, possano ingenerare discredito in un momento così delicato di ripresa per l’economia locale e nazionale, rischiando di mettere in serio rischio la reputazione di un’azienda che da anni opera nel settore degli appalti pubblici”.