Catania. Il futuro governatore della Sicilia, il capo dei capi della mafia gelese, i colletti bianchi che regnavano su Niscemi.
Tutti accomunati da una funzione nuziale: quella, in sostanza, descritta durante l’ultima udienza del processo catanese che vede alla sbarra Raffaele Lombardo, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa.
Il padre dell’ex movimento per l’autonomia e Giuseppe Madonia, capo storico di cosa nostra gelese, erano i testimoni di un matrimonio decisamente di spessore: quello fra Salvatore Paternò, figlio del boss niscemese Angelo, e Renata Rizzo, sorella dell’ex sindaco della città dei carciofi Paolo, più volte finito al centro d’inchieste antimafia.
La prova della fatidica celebrazione l’ha mostrata in aula il procuratore Giovanni Salvi. La funzione religiosa venne celebrata nel lontano 1983.
La difesa dell’ex governatore ha contestato il deposito del documento ufficiale da parte della procura. Una linea accolta dal giudice dell’udienza preliminare Marina Rizza che ha scelto di non ammettere il certificato di matrimonio.
Sull’atto sono riportate le firme dei due testimoni: ovvero, lo stesso Raffaele Lombardo e il boss Giuseppe Madonia.
Stando ai legali del padre dell’Mpa, Lombardo non poteva sapere, praticamente trent’anni fa, di trovarsi ad una funzione religiosa insieme ad uno dei massimi vertici di cosa nostra siciliana. I magistrati della procura catanese, invece, ritengono che Madonia fosse già ben conosciuto in quello stesso periodo.
Intanto, questa mattina, dovrebbe prendere il via la requisitoria preparata dalla pubblica accusa.