Gela. L’inchiesta “Leonessa” portò gli investigatori dell’antimafia bresciana a individuare un nucleo di gelesi, accusato di aver impostato un sistema assai complesso di truffe tributarie, destinando poi i profitti direttamente al clan stiddaro. Per gli inquirenti, ci sarebbero state intimidazioni e azioni estorsive. La contestazione di mafia, come già in altri filoni generati dallo stesso blitz, non è mai stata riconosciuta in sede processuale. In Cassazione, si è conclusa la vicenda degli imputati che non optarono per riti alternativi. Le condanne sono state confermate quasi in blocco. L’annullamento, solo per due capi di accusa, è stato deciso rispetto alla posizione di Gianfranco Casassa. Per il resto, la pronuncia nei suoi confronti è stata confermata. I giudici della Corte d’appello bresciana avevano disposto sette anni e sei mesi di reclusione. L’annullamento con rinvio è stato formalizzato, solo rispetto all’entità della pena, per Corrado Savoia, condannato in appello a sette anni di reclusione. Confermate invece le condanne per tutti gli altri coinvolti, a iniziare dal consulente Rosario Marchese, considerato la vera mente del sistema delle compensazioni indebite e delle truffe. In appello nei suoi confronti la pena è stata di sedici anni e quattro mesi di detenzione.
Inoltre, sette anni ad Alessandro Scilio, tre anni e otto mesi a Giovanni Interlicchia, un anno e otto mesi per Carmelo Giannone, due anni a Enrico Zumbo, quattro anni per Giuseppe Arabia, sette anni e quattro mesi ad Antonella Balocco, quattro anni e sette mesi per Simone Di Simone. E’ stata invece separata la posizione di Angelo Fiorisi, destinata a un autonomo fascicolo (è rappresentato dai legali Flavio Sinatra e Desolina Farris). Tra i legali di difesa, gli avvocati Sinuhe Curcuraci, Maria Valeria Feraco, Gianluca Marta, Oliviero Mazza, Deborah Abate, Vito Felici, Davide Limoncello, Mauro Sgotto, Domenico Peila, Maurizio Basile e Roberta Castorina.