Gela. Avrebbe ricevuto dati e notizie riservate, attraverso contatti con due carabinieri, uno all’epoca dei fatti in servizio all’Aisi, Marco Lazzari, e l’altro nei Ros, Cristiano Petrone. Lo scorso marzo, il sessantenne Salvatore Rinzivillo è stato condannato, a dieci anni e otto mesi di reclusione, dal collegio penale del tribunale. La sentenza è stata impugnata dalla difesa, sostenuta dall’avvocato Roberto Afeltra. I giudici della Corte d’appello di Caltanissetta valuteranno le motivazioni del ricorso, a gennaio. E’ stata fissata l’udienza. Da quanto emerso, a Rinzivillo sarebbero pervenute informazioni, dai sistemi accessibili solo alle forze dell’ordine. Avrebbe sfruttato i contatti personali con i due carabinieri, che insieme a lui furono coinvolti nella maxi inchiesta antimafia “Extra fines”. In primo grado, davanti al collegio penale del tribunale di Gela, la difesa ha ricordato i precedenti di Rinzivillo, ma allo stesso tempo ha escluso contatti con esponenti delle forze dell’ordine. Il difensore ha più volte ricordato una pronuncia del tribunale di sorveglianza di Roma, che sette anni fa, prima del blitz “Extra fines”, escluse la pericolosità sociale di Rinzivillo, che invece per gli investigatori assunse il comando del gruppo di mafia, con l’assenso dei fratelli ergastolani Antonio Rinzivillo e Crocifisso Rinzivillo.
Sempre la difesa, in primo grado, ha richiamato una decisione della Corte di Cassazione, che ad inizio anno ha annullato sul punto del metodo mafioso e del favoreggiamento all’organizzazione. L’imputato, detenuto sotto regime di 41 bis, ha già subito condanne per fatti legati sempre all’inchiesta madre “Extra fines”. Secondo gli investigatori, le informazioni riservate avrebbero riguardato alcuni soggetti, coinvolti in un traffico di droga.