Gela. Un piano industriale troppo lacunoso, colmo di punti interrogativi sul futuro di raffineria in città ma anche su quello dell’attività d’estrazione e ricerca nel sottosuolo.
Il consiglio di fabbrica che ha riunito tutte le rsu sindacali delle aziende del cane a sei zampe boccia senza troppi condizionali le proposte che, fino ad oggi, i manager Eni e quelli Enimed hanno posto sul tavolo.
“Allo stato attuale – spiegano i segretari provinciali di Filctem, Femca e Uiltec Gaetano Catania, Francesco Emiliani e Maurizio Castania – l’atteggiamento dell’azienda non è in linea con l’accordo per la ripartenza della linea 1 di raffineria. I piani presentati sono basati su progetti ancora sottoposti all’iter autorizzativo o, in alcuni casi, mancanti del tutto di qualsiasi iter. Ovvero, ci vorranno tempi lunghissimi. Per questa ragione, la trattativa deve riprendere al tavolo del ministero dello sviluppo economico. Il ministro si era impegnato in tal senso”.
Ma il sindacato non risparmia perplessità neanche sull’atteggiamento tenuto dalla politica locale. “Ci accusano di non aver fatto nulla – ammette Gaetano Catania della Filctem Cgil – in molti stanno entrando a gamba tesa in questa trattativa. Siano, invece, chiari e consequenziali. Dicano cosa pensano del ciclo di produzione del greggio in città e del pet coke”. Il timore vero, infatti, riguarda la rinuncia, da parte dei manager Eni, alla produzione di greggio in raffineria. “Ma siamo certi che la produzione di biocarburanti proposta in alternativa da Eni – dice il rappresentante dei quadri di raffineria Sebastiano Abbenante – abbia un vero futuro in un sito dove la materia prima manca del tutto? Purtroppo, ci troviamo davanti ad un piano industriale che cerca di rassicurare i lavoratori indicando numeri occupazionali che, però, contrastano con gli effettivi progetti dell’azienda. Non dobbiamo accontentarci del riavvio della linea 1 ma bisogna delineare un progetto che racchiuda l’intero ciclo della produzione del greggio”.
Rischi per l’immediato futuro sono stati espressi dai lavoratori dell’azienda Ecorigen. “Senza i gas che raffineria ci forniva – spiega un rappresentante sindacale – Ecorigen sarà costretta alla chiusura, con novanta operatori sulla strada. Addirittura, il gruppo pensava alla realizzazione di un terzo forno per la rigenerazione dei catalizzatori esausti. Ma senza le utilities di Eni si ferma tutto”. Neanche gli operatori di Enimed accettano il piano proposto dal gruppo. “Non siamo quì – hanno spiegato due rsu – per dare il via ad una guerra tra poveri. In città, Enimed arriva a produrre circa diciottomila barili al giorno, siamo veramente poca cosa. Per questo, non crediamo alla possibilità, come indicato da Eni, di far transitare, a regime, circa 300 operatori di raffineria nel settore estrazione e ricerca. Non ci sono i numeri. Enimed, in questo modo, sarebbe costretta alla chiusura in pochi anni. Dobbiamo essere uniti in questa vertenza, senza differenze tra Enimed, raffineria e indotto”.
Durante il consiglio di fabbrica, però, ha aleggiato lo spettro della mancata convocazione da parte del ministero dello sviluppo economico. “Perché – ha chiesto uno dei lavoratori presenti – siamo quì e non, invece, a Roma? Chiediamoci questo. Era stato previsto un incontro per oggi e non se ne fatto nulla”. La riunione è stata allargata a diversi operai dell’indotto, ancora in difficoltà. C’erano rappresentanti di Smim ma anche quelli di Riva e Mariani che, solo poche ore prima, avevano organizzato un sit in di protesta davanti i cancelli della fabbrica.