Gela. Abbiamo visto in che modo una semplice banca privata riesce ad emergere ed insediarsi, senza scrupoli, nel sistema economico nazionale dell’Italia unificata con la Banca Nazionale Sarda, governata da Bombrini e lo stratega Cavour, grande uomo del risorgimento Italiano che ha svenduto l’Italia ai francesi con una facilità degna della sua competenza e bravura.
Comunque, la vicenda delle nostre banche di emissione non è semplicemente la vicenda di una banca ma è la storia sociale di un paese meridionale, così come la storia della banca Nazionale è la storia sociale e politica del dualismo italiano. Ci preme sottolineare che il nostro sistema economico, basato sul gold standard, si reggeva sulla quantità di oro tenuta come riserva, nelle banca di emissione e che aveva una funzione cosmopolita, mentre la banconota emessa dalla banca privata ha obbligatoriamente una identità nazionale. In quell’Italia della seconda metà dell’ottocento i padani cercavano di mettersi alla pari con i paesi alla quale vendevano la loro sete greggia, ma si scontrarono con un altro elemento che fungeva da attore, la tecnologia. Non bastavano più le vele e i cannoni (per questo motivo non hanno chiuso subito Castellammare), ma bisognava andare avanti con i tempi e permettere il passaggio della piccola produzione mercantile all’industria.
Allora lo Stato da imitare era l’Inghilterra, venditrice vincente di merci industriali e officina del mondo, mentre i padani andavano dietro Cavour, Garibaldi, Vittorio Emanuele e il tricolore, trascurando la necessità vitale dello sviluppo, il passaggio dalla piccola produzione mercantile alla grande industria. Allo strapotere economico di allora resistette solo il regno delle due Sicilie, perché il commercio estero tirava e Napoli poteva farlo, mentre il Piemonte di Cavour e l’Italia risorgimentale dovettero invece piegarsi obbedienti. Subito dopo l’invasione del meridione le cose cambiano per i padani e l’emigrazione di una grossa fetta di popolazione e in parte le rimesse fatte da questi, permisero di avviare l’industria elettrica, siderurgica e meccanica nel triangolo industriale di Genova, Torino e Milano. Così, chiudendo le fabbriche del meridione e contemporaneamente costruendole al nord, permisero l’impoverimento del sud con la più grande emigrazione di un popolo in quel secolo. I meridionale non avevano altra scelta se non quella di trasferirsi sulle montagne ed essere considerati briganti ,o fare le famose valigie di cartone per trasferirsi in tutti i paesi del mondo conosciuto. L’emigrazione fu drammatica perché i briganti venivano fucilati dal pluridecorato assassino gen. Cialdini, con il consenso del pluri onorato ignorante Lombroso che con i suoi studi all’università di Torino (grande capitale del malaffare), riusciva a capire chi aveva origine delinquenziale e chi no. Strano come il mondo cambia radicalmente nel breve periodi di nemmeno cento anni, perché gli oppositori del regima fascista vengono chiamati partigiani e onorati con tutte le beneficenze possibili, mentre gli oppositori al regime dei Savoia vengono chiamati solo ed esclusivamente briganti e fucilati senza processo, con l’aggravante che non devono essere ricordati per volontà dei Tosco Padani. Quello che dovrebbe scandalizzare la cultura meridionale è la perdita dell’identità e della storia patria, nutrita esclusivamente di ipocrisia e viltà. Viviamo in un mondo dove tutto è permesso tranne conoscere la verità storica che viene completamente ignorata da tutta la cultura meridionale e pedissequamente continuiamo ad elogiare i grandi poeti Italiani che i ministeri impongono pacificamente ai nostri responsabili delle scuole dell’obbligo. Possiamo continuare a piangere con il sonetto Carducciano “Pianto antico” o con la poesia Pascoliana “La cavallina storna”e con le grandi opere del nostro più grande verista Giovanni Verga che ci ha tramandato tutta la povertà del popolo siciliano e la ignoranza che dominava il nostro territorio, chiaramente voluto dalla massoneria nordista e accettato con rispetto servile dalla cultura meridionalistica: Come può essere definito verista un poeta che trascura letteralmente quello che succede nel suo territorio? è stato tramandato come verismo, l’ipocrisia di un autore asservito alla massoneria del periodo, considerandolo grande alla pari di Emile Zolà che veramente tracciava e trattava la realtà naturalistica della Francia di allora. Mentre il nostro autore volutamente non considerava i soprusi dei meridionali, subiti dai tosco padani con una invasione non dichiarata, con massacri e stupri, saccheggi di chiese, uccisone di preti e distruzione di intere città del meridione che i nostri storici attuali e di allora non hanno visto. Ci hanno tramandato e insegnato che tutto è stato fatto per l’unità d’Italia perciò per il nostro bene e il sacrificio e il massacro del popolo duo siciliano, diviene marginale e non proponibile per giustificare una presa di coscienza e un riscatto morale. Questa è la colpa della cultura e della politica meridionale che letteralmente asservita ai vincitori guarda il cielo e trascura la madre terra dove viviamo. Opi, la titana moglie di Saturno e figlia di Urano e Tellure nella mitologia greca, si scandalizzò del comportamento degli Dei che lei stessa aveva aiutato ad evirare il genitore perché sia Urano che Saturno si comportarono alla stessa maniera nel trattare i figli appena nati. Noi discendenti onesti e buonisti ci siamo impegnati a non rilevare niente delle malefatte che i colonizzatori padani hanno commesso nei confronti del popolo duo siciliano, anzi li ricordiamo sempre perché le strade delle città meridionali sono invase dei nomi di questi assassini. Che servili che siamo!!!!
Leggo con stupore – tra molte altre inesattezze .- che secondo questo articolo “il commercio estero tirava e Napoli poteva farlo”. Il testo non è chiarissimo, ma comunque ignora totalmente due fattori: 1. “Napoli” esportava soprattutto grano, olio, seta greggia, frutta secca, semi. Importava soprattutto oltre al pesce (!) filati e tessuti ti cotone, velluto, ferro, acciaio, stagno 2. La bilancia commerciale dei “domini al di qua del Faro” verso Francia e Gran Bretagna era costantemente passiva; a raddrizzarla concorrevano soprattutto le esportazioni dalla Sicilia, che era la colonia interna del governo borbonico.
Spero vivamente di non dover leggere in futuro che Pietrarsa vendeva locomotive al resto d’Italia, che è una delle più divertenti storielle raccontate nei siti neo-borbonici. E comunque raccomanderei vivamente di non rinnegare la storia siciliana dell’Ottocento, che racconta di un’isola fieramente anti-borbonica.