Fumi in atmosfera: Legambiente, “maggiori verifiche sulla centrale Eni”

 
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Gela. Mentre si discute, tra le stanze del ministero dell’ambiente, l’eventuale aggiornamento dell’autorizzazione integrata ambientale rilasciata ai manager della raffineria Eni di contrada Piana del Signore

nel gennaio di un anno fa, gli esponenti locali di Legambiente si appellano alle istituzioni interessate.
Dallo stesso ministero al primo cittadino passando per i magistrati della procura e i tecnici incaricati di valutare l’intero iter autorizzativo. Con una lettera aperta, firmata dal presidente della sezione Virginia Farruggia e dal direttore tecnico Pietro Lorefice, viene chiesto un maggior monitoraggio anzitutto in merito “alle tecnologie, vetuste e poco performanti per efficienza termoelettrica ed ambientale – si legge nell’appello – usate nella centrale termoelettrica della raffineria, unica in Europa autorizzata a bruciare petcoke tal quale”.
Gli attivisti di Legambiente, inoltre, lanciano sul tavolo la proposta di un monitoraggio più completo rispetto alle emissioni generate dalla centrale termoelettrica della fabbrica. “Vengano istallati – chiedono ancora nella lettera – in ogni camino della centrale termoelettrica (Snox e Quadricanne), oltre agli analizzatori in continuo degli effluenti gassosi già previsti, anche dei campionatori in continuo di micro-inquinanti quali diossine, furani e pcb”.
Le preoccupazioni mosse non trascurano neanche i fumi non trattati della centrale immessi in atmosfera. Le richieste vengono inoltrate anche ai magistrati della procura. “Si accerti – chiedono ancora – se esistessero condizioni tecniche e tecnologiche reali e insormontabili tali da indurre l’autorità competente (la regione Sicilia) ad autorizzare una simile illogicità come quella di emissione di fumi della combustione di residui di raffinazione senza alcun trattamento depurativo mettendo a repentaglio la salute di decine di migliaia di cittadini”.
Proprio per queste ragioni, gli esponenti locali di Legambiente criticano senza mezzi termini quella che definiscono una “sistematica ed organizzata azione di pressione mediatica da parte di Eni”, destinata ad ottenere in tempi celeri l’aggiornamento Aia mettendo sull’eventuale piatto il rischio del fermo dell’intera attività e, quindi, lo spettro di licenziamenti e chiusura d’impianti produttivi. 

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