Gela. Abbiamo trattato della repubblica socialista di San Leucio per cercare i primati del Regno delle due Sicilie, trattati nel volume di Michele Vocino nel testo “Primati del Regno di Napoli – ordinamenti – Risorse Naturali attività industriali.
Sulle banche del meridione abbiamo avuto occasione di approfondire alcuni aspetti e oggi, con l’aiuto dello scrittore Vocino, vogliamo approfondire altri aspetti. Il banco di Sicilia come il banco di Napoli, affonda le sue radici in tempi molto remoti “nella funzione di banchi medievali dei mercanti e in quelli dei luoghi pii, continuando le tradizioni apodissarie e creditizie delle tavole pecuniarie Siciliane fondate nel 1459”.
All’inizio avevano la funzione di combattere solo ed esclusivamente l’usura, mentre successivamente con l’entrata in funzione delle fedi di credito e polizze “notate”, denominate come a Napoli “madrefedi”, assolsero la funzione di servizio di tesoreria per conto dello Stato e dei privati.
Con il decreto del 7 aprile del 1843, furono istituite a Palermo e Messina due casse di corte che dipendevano dal banco di Sicilia. Nelle stesse si poteva fare la raccolta del denaro, rilasciando “fede di credito”o “polizze notate fedi” che non potevano superare l’ammontare del deposito.
Il 13 agosto 1850 fu costituito il “Banco Regio dei Reali Domini al di là del Faro” dove vennero incorporate anche le due casse di Palermo e Messina. Finalmente con decreto del dicembre 1816, queste banche venivano unificate sotto la denominazione di Banche delle Due Sicilie. Dopo l’unificazione del Regno d’Italia perdono le caratteristiche di banche di emissione, non possono più stampare carta moneta ma ridotte a normale istituti bancari.
Un’accortezza che sfocia nella costrizione di essere assorbite dalle banche del nord o chiudere per fallimento. Altra eccellenza era rappresentata dalla “dogana delle pecore” che aveva sede a Foggia, dove i responsabili dovevano accompagnare gli espositori dei capi nella transumanza. I pastori si dividevano secondo il numero delle pecore possedute, oltre il numero dei muli, cavalli, asini e cani. Per ogni tipo di animale esisteva un responsabile che curava il proprio lavoro con molta attenzione e secondo una tradizione patriarcale che aveva origine molto lontane. Tutto il tavoliere delle Puglie era organizzato per ricevere gli animali e per servirli nel migliore dei modi a spese dello Stato e dietro pagamento di un compenso stabilito per numero di animale.
La lana, le pelli e gli animali erano commercializzati nella fiera di Foggia. Ferdinando II di Borbone tentò di ammodernare il tavoliere delle Puglie, ma un gruppo di esperti, scoraggiò l’iniziativa e il re liquidò la questione con un “non se ne faccia più nulla”. Cosìcon la legge del 1865, il tavoliere delle Puglie fu definitivamente affrancato e subito vi si sviluppò l‘agricoltura. Spariva il mondo pastorale del tavoliere, millenario da Varrone ai giorni dell’unità e della nostra liberazione.
Altro primato è quello fieristico della fiera di Foggia, la più antica fiera d’Italia. Si parla della fiera di Padova, istituita nel 1257, ma il suo sviluppo è stato articolato da alterne vicende, mentre la fiera di Foggia ha origine più antiche, perché fu istituita nel 1220 da Federico II di Svevia, che nel rescritto del 1234 istituì altre fiere a Capua, Sulmona, Lucera, Bari, Cosenza, Reggio Calabria e Taranto: mercati nel territorio del sud .
Lo sviluppo maggiore, l’ebbe quello di Foggia che fu scelto dal re come sua residenza. Ma il suo massimo splendore si ebbe nel 1468 con Ferrante I d’Aragona che spostò da Lucera a Foggia il centro commerciale della lana, del grano e la fiera di Foggia acquistò maggiore importanza.
• La città di Foggia che non superava i 10.000 abitanti, al momento della fiera quasi si triplicavano i suoi abitanti, mentre il consumo del pane che nella normalità era di 56 tomoli, durante il periodo della fiera si quadruplicava:
• La fiera si svolgeva nel mese di Maggio perchè era il periodo in cui scendevano le greggi transumanti a valle e per questo che la fiera venne chiamato “fiera di maggio” e il movimento di uomini ed animali in quel periodo era eccezionale. Il porto di Manfredonia era stato scelto come centro di smistamento della lana, delle pelli e del grano dove venivano ad acquistarle mercanti di Ragusa e di Grecia che l’esportavano in tutti i paesi del mondo conosciuto. Esistevano limitazioni di vendite per soddisfare le esigenze delle città del Regno e infatti allo Stato Pontificio dovevano essere venduti globalmente 24.000 castrati e 25.000 agnelli sempre nel rispetto della clausola precedentemente citata. Foggia, dopo Napoli era tra le città più popolosa del regno e molto organizzata, perché nel momento della fiera i visitatori, le piazza non li trovavano mai sprovviste di grasce . Questa grande manifestazione fieristica della Puglia, con l’unità d’Italia , perse la sua importante funzione, sacrificata all’egoismo e all’incomprensione del nord , come tante altre attività produttive del mezzogiorno.
“Dopo l’unificazione del Regno d’Italia perdono le caratteristiche di banche di emissione, non possono più stampare carta moneta ma ridotte a normale istituti bancari.
Un’accortezza che sfocia nella costrizione di essere assorbite dalle banche del nord o chiudere per fallimento.”
Basta leggere il libro di Vocino alle pp. 37-38 per sapere che non vi fu nessun assorbimento da parte delle banche del nord e nessun fallimento, e che le due banche (Banco di Napoli e Banco di Sicilia) ebbero il rango di istituti di emissione fino alla riforma del 1926. Che poi in anni recenti (2002 il Banco di Napoli, 2010 il Banco di Sicilia) entrambi siano confluiti in sistemi bancari più complessi, è storia che non ha nulla da spartire con gli eventi ottocenteschi.