Gela. Gli arresti richiesti e ottenuti dai pm della Dda di Caltanissetta vennero eseguiti dai poliziotti della mobile sul finire dello scorso anno. Per gli investigatori dell’antimafia, un esercente locale, titolare di attività per la vendita di ortofrutta, sarebbe stato costretto a chiudere una bottega, sotto le minacce di chi avrebbe agito facendo pesare l’appartenenza a Cosa nostra locale. Le indagini sono state chiuse. Gli arresti furono eseguiti nei confronti del quarantaquattrenne Emanuele Cassarà, a sua volta titolare di un’attività per la vendita di ortofrutta, del cinquantenne Marco Ferrigno e del quarantanovenne Massimo Terlati. Secondo le contestazioni, sarebbero stati Ferrigno e Terlati a minacciare l’esercente, affinché chiudesse l’attività. Secondo gli inquirenti avrebbero agito nell’interesse di Cassarà, che pare non volesse concorrenza in una zona vicina alla sua attività. Per i tre venne disposta la custodia cautelare in carcere. Di recente, i giudici della Corte di Cassazione non hanno accolto i ricorsi presentati dalla difesa di Ferrigno e Terlati, confermando quanto deciso dal riesame di Caltanissetta. Per il legale di difesa, mancherebbero i presupposti dell’estorsione e non ci sarebbero riscontri certi di eventuali azioni legate all’appartenenza al gruppo di mafia dei Rinzivillo. Fu l’esercente preso di mira a segnalare quanto era accaduto. Proprio il titolare della bottega aveva già denunciato fatti analoghi e fu sentito nel dibattimento avviato per gli imputati coinvolti in un’altra inchiesta, quella ribattezzata “Stella cadente”. Avrebbe subito atti intimidatori.
Nell’indagine che è stata chiusa, in attesa degli ulteriori provvedimenti dei pm della Dda nissena, sono stati coinvolti inoltre due collaboratori di giustizia, Emanuele Terlati e Roberto Di Stefano. Nei loro confronti non sono state emesse misure. Da anni, collaborano con la giustizia, ma secondo gli inquirenti non avrebbero mai del tutto reciso i legami con esponenti della criminalità organizzata. Gli accertamenti, anche in questo caso senza l’emissione di misure, si estesero a Nicolò Cassarà e ad Emanuele Pisano. I coinvolti sono difesi, tra gli altri, dagli avvocati Flavio Sinatra, Cristina Alfieri e Giovanni Lomonaco.