Gela. “Materiali passaggi di denaro non vennero mai individuati”. I flussi di denaro dei coinvolti nell’inchiesta su appalti, consulenze e sponsorizzazioni dell’Ato rifiuti Cl2 furono al centro delle verifiche condotte dai militari della guardia di finanza. Il periodo finito sotto indagine toccava almeno due anni, dal 2011 e fino al 2013. A spiegare ulteriori particolari, in aula davanti al collegio penale del tribunale, è stato uno dei finanzieri che si occupò di effettuare l’analisi dei conti correnti e dei prelievi in denaro che venivano effettuati, con notevole frequenza. Secondo i pm della procura, somme di denaro sarebbero affluite verso rappresentanti dell’Ato, a cominciare dal commissario Giuseppe Panebianco. Presunti casi di corruzione, in cambio soprattutto dell’affidamento di appalti. Sono state vagliate decine di operazioni, anche per cospicue somme di denaro, effettuate dai imprenditori, a loro volta a processo. Il dibattimento, oltre al commissario Panebianco, coinvolge l’imprenditore Nunzio Li Pomi, il dipendente comunale Rocco Incardona, Sergio Occhipinti e Rosa Caci. Anche i conti del commissario e dei familiari vennero sottoposti a controlli incrociati. “Non sappiamo però che fine facessero le somme in contanti che venivano prelevate – ha proseguito il finanziere sentito in aula che ha risposto anche alle domande del pm Mario Calabrese – fu impossibile tracciarle”.
Sono stati accertati prelievi e trasferimenti di denaro, di entità rilevanti, anche oltre gli 80 mila euro. Gli inquirenti si concentrarono principalmente sui rapporti tra il commissario Ato e i titolari delle aziende che ottenevano la maggior parte degli appalti banditi dall’ente, la “Multiservice”, la “General service” e la “Italiano”. Ci furono perquisizioni, durante le quali vennero sequestrati circa tredicimila euro in contanti a Panebianco, in parte ritrovati nella sua automobile. Le difese sono invece ferme nel sostenere che quelle somme fossero più che giustificate. Il legale che rappresenta Panebianco, l’avvocato Maria Licata, ha più volte spiegato che si trattava di compensi ricevuti per l’attività professionale svolta dall’attuale commissario dell’Ato (seppur dimissionario) e addirittura di denaro da destinare alla copertura delle spese gestionali di una società di pallavolo, l’Heraclea volley. Una linea analoga sostenuta dagli altri difensori, che hanno parlato di operazioni bancarie comunque lecite, perché destinate a coprire i costi aziendali ma anche di operazioni personali. L’investigatore chiamato a riferire in aula ha comunque confermato che non vennero mai individuati effettivi passaggi di denaro o operazioni bancarie direttamente destinate agli imputati, che sono difesi inoltre dagli avvocati dagli avvocati Rocco Guarnaccia, Tommaso Vespo e Fabio Fargetta.