Blitz Tetragona, l’imprenditore “strozzato” al Nord e le amicizie di Monachella

 
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Gela.
Soldi e ancora soldi fino, addirittura, a rischiare la vita quando non ebbe più la possibilità di rispondere alle richieste economiche giunte dal gruppo di cosa nostra attivo in provincia di Varese. L’imprenditore Crocifisso Incorvaia è stato sentito come teste durante l’ultima udienza del processo scaturito dall’operazione antimafia “Tetragona” andata in scena davanti alla corte presieduta dal giudice Paolo Fiore.

“Nel 2002 – ha ricordato il teste – fu Angelo Bernascone a contattarmi. Mi disse che Rosario Vizzini voleva conoscermi. Sapevano delle mie disponibilità economiche e conoscevano la mia impresa edile”.
Da lì, stando alle sue dichiarazioni, sarebbero iniziati gli incontri a Roma per rispondere alle richieste del boss Crocifisso Rinzivillo. “Dopo la mia scarcerazione – ha ricordato l’imprenditore – Rosario Vizzini continuò a chiedermi soldi. Richieste, intanto, arrivavano anche da Crocifisso Rinzivillo che chiaramente mi fece capire di dover rispondere solo alle sue perché Vizzini doveva essere eliminato”.
Prima, cinquanta milioni delle vecchie lire; poi, una serie di appalti passati alle imprese controllate dal gruppo di cosa nostra in Lombardia. “Addirittura – ha continuato – per la realizzazione di un appalto da quasi due milioni di euro nella zona di Voghera dovetti effettuare tutti i lavori e pagare ugualmente perché le loro imprese non sarebbero riuscite ad eseguire le commesse. In prima battuta dovevo versare cinquemila euro mensili che poi divennero ventimila”.
Davanti alla corte, composta anche dai magistrati Manuela Matta e Vincenzo Di Blasi, sono sfilati altri testimoni, compreso Maurizio La Rosa. Alle domande formulate dal pool di avvocati difensori e dal pubblico ministero della Direzione distrettuale antimafia Gabriele Paci ha risposto uno degli imputati, Emanuele Monachella, ritenuto vertice di cosa nostra a Genova.
“I quarantasettemila euro messi a disposizione dall’imprenditore Emanuele Mondello – ha spiegato – riguardavano un mutuo per l’acquisito di un immobile. Mi diede questa possibilità non perché fosse stato minacciato ma solo in relazione al nostro intenso rapporto d’amicizia. Ricordo che mi regalò, dopo la scarcerazione del 2007, alcuni abiti che andammo ad acquistare in un negozio di moda a Caltanissetta. Lo faceva solo per spirito d’amicizia nei miei confronti”.
Rispetto alle presunte attività illecite portate avanti in Liguria, Monachella è stato più che esplicito. “Ho sempre pensato a lavorare e a portare avanti la mia famiglia – ha concluso – dopo la scarcerazione, mi sono occupato dell’impresa edile avviata insieme a mio figlio. Enzo Morso lo vidi solo in poche occasioni anche perché viviamo in quartieri di Genova molti distanti l’uno dall’altro”. 

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