Brescia. Il mare magnum delle compensazioni illecite, che avrebbe contribuito a finanziare gruppi legati alla stidda, è da tempo sotto la stretta attenzione dei pm lombardi, che hanno lavorato insieme a quelli della Dda di Caltanissetta. Sono in totale 112 i coinvolti nell’inchiesta “Leonessa”. E’ solo uno dei filoni aperti quando si è trattato di mettere al centro dell’interesse investigativo l’imprenditore trentaquattrenne Rosario Marchese, considerato la vera mente di un sistema illecito milionario. I magistrati bresciani, a luglio, avevano chiuso le indagini. Adesso, è stata fissata l’udienza preliminare. Davanti al gup del tribunale di Brescia tutti i coinvolti dovranno presentarsi il prossimo 20 ottobre. Ci sono imprenditori, professionisti, faccendieri e anche semplici prestanome, che si sarebbero messi a disposizione. A far ruotare il sistema delle compensazioni fiscali illecite e dei crediti inesistenti con l’erario sarebbe stato lo stesso Marchese, attualmente detenuto, sostenuto soprattutto da Angelo Fiorisi e Roberto Raniolo. Gli affari dei gelesi si sarebbero spostati nel nord Italia, riuscendo ad attirare nella rete centinaia di aziende (anche con notevoli fatturati) e professionisti.
Un elenco quasi senza fine di operazioni fiscali illecite, per milioni di euro. Tutti soldi che secondo i pm della Dda di Brescia sarebbero finiti non solo nei conti personali delle presunte menti, ma anche all’organizzazione mafiosa, che pare si fosse radicata tra Lombardia e Piemonte. Un gruppo che secondo le carte si sarebbe segnalato per “autonomia programmatica, operativa e decisionale rispetto ad altre cosche di Gela”. L’inchiesta “Leonessa” ha diversi aspetti in comune con quella “Stella cadente”, coordinata dai pm della Dda di Caltanissetta, ma va anche oltre, proprio per la presunta autonomia dei gelesi che si muovevano tra Lombardia e Piemonte. Sono migliaia le operazioni fiscali illecite ricostruite dagli investigatori, che hanno coinvolto professionisti e operatori del settore, oltre a decine di imprenditori, che si sarebbero affidati al sistema delle compensazioni irregolari per coprire pesanti debiti con l’erario. Sono stati ricostruiti i metodi usati, comprese richieste estorsive e vere e proprie aggressioni ai danni delle vittime. Sarebbe stato questo il marchio di fabbrica dell’organizzazione, in grado di strutturare contatti con importanti gruppi aziendali e con tanti “colletti bianchi”, compresi dipendenti dell’Agenzia delle Entrate e delle Poste. Nel corso delle indagini, Marchese ha già fatto diverse ammissioni, pur escludendo di essere un affiliato ai clan di mafia. Ha rilasciato dichiarazioni ai magistrati lombardi, ma senza essere ritenuto un collaboratore di giustizia.