Gela. Chi frequenta i social media come Facebook, Instagram e Twitter sa bene che gli utenti hanno approcci molto diversi su un ventaglio di possibilità che va da quello esclusivamente verbale a quello esclusivamente iconico o visivo. In tal caso davvero il mezzo condiziona il messaggio e, per esempio, mentre Twitter attrae di più gli utenti che prediligono una modalità verbale di utilizzo, Instagram è il paradiso degli utenti “visivi”, di coloro, cioè, che amano esibire foto o video in generale e, in numerosi casi, foto o video di sé in particolare. Da questo punto di vista, Facebook sta in una posizione intermedia, perché consente tecnicamente un uso (e un abuso) in entrambi i sensi, e pertanto risulta più interessante per un riscontro dei risultati di una ricerca recente di psicologia della personalità.
Qualche giorno fa è uscito su “The Open Psychology Journal” il resoconto di uno studio dal titolo “Visual Social Media Use Moderates the Relationship between Initial Problematic Internet Use and Later Narcissism”, a firma di Phil Reed, Nazli I. Bircek (Dipartimento di Psicologia dell’Università di Swansea, Regno Unito), Lisa A. Osborne (Abertawe Bro Morgannwg University Health Board, Regno Unito), Caterina Viganò e Roberto Truzoli (Dipartimento di Scienze Biomediche e Cliniche dell’Università di Milano). Lo studio, di cui si è occupata anche la rivista “Le Scienze” on line con un articolo-comunicato del 9 novembre scorso, riguarda la correlazione nel tempo tra un uso problematico di internet (Problematic Internet Use, da ora in poi PIU) e l’innesco di disturbi della personalità di tipo narcisistico nei soggetti che preferiscono un uso visivo dei social media. Il risultato della ricerca, di cui qui mi propongo di fornire una descrizione puntuale (che a tratti sfiora la parafrasi), è particolarmente interessante, perché ci dice qualcosa sul modo in cui un certo uso dei social media può incidere sulla personalità, e in particolare sul grado di estensione di una personalità narcisistica, misurato su una scala che va da zero a 40 dall’NPI (Narcissism Personality Inventory).
Chi volesse accedere direttamente all’articolo originale, può raggiungerlo dal seguente link: https://benthamopen.com/FULLTEXT/TOPSYJ-11-163
L’uso problematico di Internet
La parte introduttiva dell’articolo contiene la descrizione dettagliata di una delle variabili in gioco, il PIU, che riguarda il 6-18 % della popolazione giovanile e che gli autori tratteggiano sulla base di una letteratura specialistica ormai piuttosto cospicua. Questa variabile incide pesantemente sulla qualità della vita di un individuo, innanzi tutto perché, per esempio, quest’ultimo sperimenta in genere crisi di astinenza quando si disconnette dalla rete. Il passaggio dal mondo social a quello sociale, poi, ha effetti negativi sulla gestione dei rapporti di amicizia e non di rado spinge alla solitudine. La quantità e la qualità del sonno, un’alimentazione sana e l’esercizio fisico sono parimenti intaccati dall’uso eccessivo di internet. Sul piano più strettamente psicologico, inoltre, il PIU ha un impatto deleterio documentato sui livelli di ansia e depressione, sulla durata dell’attenzione, sul controllo degli impulsi e sulla risposta immunitaria a certe malattie. Il tratto della personalità che il PIU può trasformare in una patologia, infine, è appunto il narcisismo. Quest’ultimo, che in forma subclinica coinvolge un po’ tutti, com’è noto a partire da Freud, nelle sue versioni estreme diventa un problema clinico dal momento in cui porta l’individuo a nutrire sentimenti di eccessiva auto-sopravvalutazione, a inseguire un successo illimitato e a percepirsi sotto il segno di un’assoluta unicità; a tutto ciò, come effetti non secondari, si accompagnano l’incapacità crescente di provare empatia, l’invidia e l’arroganza. È ormai opinione condivisa dalla comunità scientifica che il narcisista sperimenti su internet cicli di feedback appaganti nel gioco della soddisfazione dei propri bisogni di conferma, soprattutto quando, per esempio attraverso i selfie, si autopromuove compulsivamente volgendosi sempre di più all’uso visivo dei social media.
La ricerca, dunque, prende le mosse da questa correlazione nota tra PIU e NPI. Lo scopo, allora, è quello di capire se questo nesso può condurre a previsioni sull’incremento nel tempo del grado di narcisismo (NPI) a partire dal PIU in soggetti orientati a un uso dei social più visivo che verbale. Ovvero: in soggetti che fanno un uso problematico di internet, i livelli patologici di narcisismo sono correlati o no a una interazione social basata sulle immagini (soprattutto) di sé?
La ricerca
La risposta a questa domanda ha richiesto una ricerca longitudinale che ha coperto una durata di circa quattro mesi. A sottoporsi volontariamente all’osservazione sono stati 74 studenti del Dipartimento di Psicologia di un’Università inglese (55 femmine e 19 maschi), di un’età media di poco più di 23 anni. I giovani sono stati selezionati sulla base di un punteggio iniziale di PIU elevato (il massimo è 56), misurato attraverso un questionario, ed inizialmente hanno risposto per email anche a un test per misurare il loro NPI. Allo scadere dei quattro mesi, i partecipanti hanno risposto a un nuovi test, dai quali è stata rilevata la variazione differenziale del loro NPI in relazione alle modalità di utilizzo dei social media. Essi hanno pure indicato i siti, le app e le piattaforme usate ed è emerso, tra le altre cose, che 44 (59%) hanno citato Facebook nelle prime tre piattaforme e siti web utilizzati, 17 (23%) hanno citato Instagram, 10 (13%) Twitter e 10 (13%) Snapchat. Considerando Facebook e Instagram come piattaforme tipicamente visive, è emerso che 50 partecipanti (67%) hanno utilizzato forme visive dei social media, mentre 16 (21%) hanno utilizzato i social media in modo prevalentemente verbale. Suddividendo il campione sulla base dell’uso/non uso delle forme visive e dell’uso/non uso delle forme verbali, è emerso che effettivamente a un aumento del PIU corrisponde un aumento del NPI per gli utenti visivi, mentre si registra una sua diminuzione del NPI per gli utenti verbali (naturalmente la ricerca ha testato anche tutte le altre possibili correlazioni tra le variabili, ma senza rinvenire correlazioni significative in grado di indebolire l’ipotesi di partenza).
La ricerca, dunque, ha rivelato che un alto punteggio iniziale nel PIU consente di fare delle previsioni sul livello di NPI nei soggetti in cui prevale l’uso visivo dei social media, mentre nei soggetti che prediligono l’uso verbale questa correlazione non si riscontra. Una ragione di questa correlazione, osservano gli autori, sta forse nel fatto che mettersi in contatto con il mondo attraverso una modalità visiva in un’arena virtuale, senza la possibilità di immediata censura sociale diretta, può offrire l’opportunità di innescare alcuni aspetti della personalità narcisistica. L’individuo ha la possibilità di sopravvalutarsi attraverso i cicli di feedback e di realizzare quindi le sue fantasie di onnipotenza.
In conclusione, si può asserire che questo studio dimostra che un uso problematico di internet (PIU) è in grado di predire i livelli successivi del narcisismo, e il mediatore di questa dipendenza è costituito da un uso prevalentemente visivo dei social media. La personalità narcisistica, così, è scatenata dalla combinazione tra un PIU elevato e la preferenza per il linguaggio iconico auto-riferito (i selfie, per esempio) nelle interazioni sui social. Il risultato dello studio, inoltre, nell’individuare un nesso preciso e preoccupante per lo sviluppo della personalità nei giovani, è in grado di fornire delle indicazioni per l’intervento terapeutico o più in generale pedagogico. Per esempio, mentre nei casi gravi si può agire sull’autostima per disinnescare la deriva dell’NPI, dato che il punteggio di quest’ultimo aumenta al diminuire della prima, nei casi meno gravi basta sviluppare nei giovani la consapevolezza sui rischi di un uso eccessivo delle immagini di sé sui social media pubblicate con lo scopo di apparire e di essere ammirati. In ogni caso, un risultato come questo fornisce agli psicologi un’arma in più per intervenire con efficacia sulla dipendenza patologica da internet, soprattutto laddove essa ha ricadute negative su un tratto delicato della personalità come il narcisismo.