Gela. Un finanziamento prima concesso, in base a quanto previsto dal Contratto d’area, e poi revocato dal Ministero dello sviluppo economico che ha chiesto la restituzione di una somma superiore agli 800 mila euro. L’investimento dell’imprenditore locale finito al centro delle verifiche, però, non era affatto una scatola vuota. Non sono stati gonfiati i costi per ottenere maggiori fondi. I giudici del Tribunale amministrativo di Palermo hanno accolto il ricorso del suo legale e annullato i provvedimenti del ministero. Nessuna revoca del finanziamento da circa mezzo milione di euro, per la costruzione di uno stabilimento destinato alla lavorazione di frutta e ortaggi (già realizzato), né l’obbligo di restituire gli oltre 800 mila euro. Le prime verifiche iniziarono dopo alcuni accertamenti condotti dai militari della guardia di finanza sulle fatture rilasciate dall’azienda che si occupò dei lavori di costruzione dello stabilimento, poi collaudato. Per le fiamme gialle, sarebbero stati gonfiati i costi. Venne emesso un avviso di accertamento da 267 mila euro nei confronti dell’imprenditore. Contestazione però caduta sia davanti alle commissioni tributarie sia in sede penale, con l’archiviazione dell’inchiesta per prescrizione decisa dal giudice delle indagini preliminari del tribunale.
Nonostante l’esito dei procedimenti, i funzionari ministeriali hanno proseguito l’iter per la revoca del finanziamento. Atti che sono stati impugnati al Tar e i giudici amministrativi hanno accolto in pieno il ricorso. “E’ un fatto che il provvedimento di revoca è intervenuto dopo sei anni e mezzo da quando ebbe inizio il procedimento di revoca/annullamento (5.1.2010), dopo otto anni dall’adozione del decreto n. 19711 dell’1.8.2008 di concessione ed erogazione del finanziamento – scrivono i giudici – e dopo dieci anni dalla realizzazione dell’opera, completata con rilascio del certificato di agibilità l’8.3.2006, circostanze tutte che escludono in radice che possa dirsi rispettato un lasso di tempo ragionevole”. I tecnici del ministero, inoltre, non avrebbero effettuato le necessarie verifiche rispetto a quanto emerso durante le indagini. “l’amministrazione è venuta meno all’obbligo sancito dall’art. 10 della L. n. 241/1990 – concludono – ossia il prendere posizione, il valutare adeguatamente le memorie prodotte dall’interessato in seno al procedimento, ove siano pertinenti, come nel caso in esame”.