Gela. Le strade di Settefarine, quelle che ogni giorno Loris percorreva in bicicletta, lo hanno visto passare per l’ultima volta. Oggi non c’erano i pedali della sua bici a spingerlo, né il vento tra i capelli, né le risate leggere di un bambino che si sente invincibile. C’era un feretro bianco, troppo piccolo per contenere un dolore così grande. E dietro, un’intera città sfiancata dal dolore.
Migliaia di persone hanno riempito le vie di Settefarine per accompagnare Loris nel suo ultimo viaggio. Hanno atteso il suo passaggio in silenzio, con il cuore stretto in un pugno, mentre il corteo avanzava lentamente. Il feretro ha attraversato il quartiere, si è fermato davanti alla scuola Don Bosco, dove i cancelli si sono spalancati per accoglierlo ancora una volta, come se la sua classe volesse trattenerlo con sé, ancora un giorno, ancora un’ora, in un silenzio surreale.
E quel silenzio si è fatto ancora più pesante quando la bara è entrata nella chiesa di San Sebastiano, piena di gente. In prima fila, i genitori e i familiari, provati da settimane di sofferenza e speranza spezzata. Sulla bara, la maglia bianconera numero 7 della Juve, la sua squadra del cuore. Accanto a lui, i compagni della scuola calcio, con uno striscione che sembra quasi voler abbracciare quel feretro troppo piccolo per contenere il peso di una tragedia così grande.
Nel silenzio rotto solo dai singhiozzi, le parole di don Daniele Centorbi risuonano come un atto di dolore collettivo: “Oggi, Loris, dobbiamo chiederti scusa. Non solo a te, ma a tutti i bambini come te, se come adulti non siamo riusciti a consegnarti un mondo a misura di bambino, che rispetta le regole, che protegge i più deboli e bisognosi”.
Alla fine della cerimonia, due lettere spezzano l’aria già densa di emozione: una scritta dai compagni di classe e letta dalle maestre, l’altra dagli animatori del Grest, il gruppo estivo che Loris amava frequentare.
Ma il momento più toccante arriva con la lettura della sua pagella da parte della dirigente scolastica dell’Istituto Don Bosco, Rosalba Marchiciana. La voce trema, ma le parole sono chiare e definitive: “Loris Rodoti è stato ammesso alla classe successiva. Ma questa classe la frequenterà in Paradiso”.
Fuori dalla chiesa, ad attendere la piccola bara bianca, c’è suo fratello gemello. È in sella alla minicross, l’altra grande passione di Loris. I due erano inseparabili, la moto romba forte a tentare di coprire le lacrime e i singhiozzi, mentre tutti intorno si sciolgono in un lungo applauso. Accanto, gli ultras del Gela accendono fumogeni e battono le mani, un ultimo saluto che squarcia l’aria e scuote i cuori.
Poi, centinaia di palloncini bianchi si alzano in volo. Salgono lenti, sfidando la gravità, portando con sé il nome di Loris, il suo sorriso, il suo ricordo. E mentre il vento li spinge sempre più in alto, qualcuno sussurra:
“Ciao, Loris. Corri forte, ovunque tu sia.”
Profondi condoglianze. Ciao piccolo