Gela. “Il ricorso è infondato”. I giudici del tribunale amministrativo del Lazio bocciano l’azione giudiziaria portata avanti contro il progetto di esplorazione e trivellazione in mare ribattezzato “Offshore ibleo”, presentato da Eni.
Associazioni e comuni contro il progetto. Un programma d’investimento, sancito nel protocollo romano del 6 novembre scorso, che prevede anche la costruzione della piattaforma Prezioso K oltre alla perforazione e al completamento di sei pozzi nei campi Argo e Cassiopea e di due esplorativi ribattezzati Centauro 1 e Gemini 1. A contestare l’intero progetto sono state associazioni ambientaliste e primi cittadini di comuni del ragusano e dell’agrigentino. L’ente comunale gelese, invece, ha scelto di non contestare i decreti ministeriali che autorizzano le operazioni offshore e onshore del gruppo Eni. Stando al ricorso depositato dai legali di associazioni e comuni, i programmi d’esplorazione e trivellazione in mare andrebbero a danneggiare gravemente l’intero ecosistema della zona e la sua biodiversità marina, violando il principio di precauzione sancito a livello comunitario. I tecnici del ministero, infatti, non avrebbero valutato correttamente sia il rischio di gravi incidenti durante le operazioni sia il danno causato ad un corridoio fondamentale per specie protette. Due pareri rilasciati dagli uffici regionali nel 2010, inoltre, avrebbero dato esito negativo rispetto al progetto successivamente approvato a livello ministeriale.
Il Tar Lazio dice no al ricorso. I giudici amministrativi romani, però, hanno respinto la richiesta di annullamento dei provvedimenti rilasciati dal ministero. “Il collegio – si legge nella sentenza appena emessa – rileva che lo studio di incidenza risultava effettuato su siti Sic e Zps nonché per l’area Iba, con esclusione di impatti significativi laddove, per le opere onshore, le attività progettuali risultano inserite nell’area Greenstream di Gela, destinata ad attività industriali. Da quanto risulta agli atti, lo studio ha escluso impatti significativi con gli habitat in riferimento proprio all’Iba e alla funzionalità della Rete Natura 2000, comprensivi di flora e fauna, anche in riferimento al momento della sola cantierizzazione”. “Quanto detto si riflette – continuano – anche per le parti di progetto offshore, in quanto è indicato che non risulta la formazione di deviazioni dei percorsi migratori, ai sensi dunque dell’accordo Aewa, fermo restando che nessuna attività di coltivazione è posta all’interno di aree marine o costiere protette a scopi ambientali, risultando la piattaforma Prezioso K e il relativo Export Plem all’esterno delle aree ricadenti nella Rete Natura 2000 e nell’Iba richiamato dai ricorrenti che, dal canto loro, non forniscono indicazioni oggettive di senso contrario fondate su una rilevazione, punto per punto, dei contenuto dello studio di incidenza e di impatto ambientale”.
“Il ministero ha rispettato le procedure”. Secondo i magistrati romani, quindi, “ancora una volta, nel caso di specie, non si rileva, dalla impostazione delle censure dei ricorrenti e dagli elementi oggettivi da loro forniti in giudizio, la conclusione per la quale manchino del tutto o comunque non siano idonee le misure di prevenzione dei danni ambientali riscontrabili nelle molteplici prescrizioni dettate a tale scopo nel senso sopra evidenziato”. Il tar romano conferma, alla fine, la regolarità di tutte le autorizzazioni e procedure adottate dal ministero dell’ambiente.