Gela. Solo uno dei capi di imputazione, alla fine, ha tenuto. Sono tre le condanne pronunciate dal giudice Miriam D’Amore nei confronti dell’ex amministratore delegato di Raffineria di Gela Bernardo Casa e dei responsabili tecnici Biagio Genna e Arturo Anania. Quattro mesi di reclusione, con pena sospesa, per attività di gestione di rifiuti non autorizzata, così come derubricato nel dispositivo letto in aula, facendo riferimento al testo unico ambiente. Agli imputati sono state riconosciute le attenuanti. Accuse legate al presunto smaltimento illecito di rifiuti pericolosi, a cominciare dall’amianto, nella vasca 4 della fabbrica di contrada Piana del Signore. Altri capi di imputazione sono caduti, non solo perché il giudice ha disposto l’assoluzione, ma anche per l’intervenuta prescrizione. Verdetto favorevole che ha riguardato Rosario Orlando, Aurelio Faraci e gli altri imputati Casa, Genna e Anania (condannati però per le irregolarità nella gestione dei rifiuti). Un’istruttoria molto lunga, fatta di dati tecnici e perizie, che ha indotto il pm Mario Calabrese (con lui in aula c’era il procuratore capo Fernando Asaro), a chiedere pesanti condanne, da due a tre anni di reclusione, ritenendo provata la responsabilità di tutti gli imputati. Per i magistrati della procura e per i militari della capitaneria di porto che hanno condotto complesse indagini, manager e tecnici del cane a sei zampe sapevano che quella vasca era usata come discarica di amianto, ma non avrebbero fatto nulla per evitare che le polveri killer si potessero disperdere in atmosfera, compromettendo anzitutto la salute degli operai, presenti nello stabilimento di contrada Piana del Signore. Coperture logore, big bag non efficienti e, solo dopo anni, vennero apposti regolari cartelli d’avviso sulla presenza d’amianto. Per il pubblico ministero, si trattò di un vero e proprio “deposito incontrollato” di rifiuti altamente pericolosi. Il magistrato ha citato le risultanze delle perizie tecniche, sottolineando come l’amianto stoccato in quella vasca fosse friabile, ancora più pericoloso a causa dei forti venti che si abbattono sulla zona. Gli imputati sarebbero stati “consapevoli”. Una ricostruzione seguita dai legali delle parti civili, le associazioni Aria Nuova, Amici della Terra-Gela, Ona, il Comune e il Ministero dell’ambiente. Gli avvocati Joseph Donegani, Davide Ancona e Flavio Sinatra hanno ribadito che non furono rispettate le autorizzazioni rilasciate, mettendo a rischio la salute degli operai che lavoravano negli impianti limitrofi (diversi di loro hanno contratto patologie), ma anche di Vincenzo D’Agostino (rappresentato dal legale Giovanni Avila), per anni operatore di Eni proprio nell’area della vasca 4 ed esposto ad emissioni di ogni tipo. L’operatore dell’azienda, anche in aula, ha spiegato di aver più volte segnalato anomalie nella gestione dell’area e l’inefficienza dei sistemi di copertura, senza però ricevere vere risposte.
Anche D’Agostino si è costituito parte civile, così come altri operai dell’indotto della raffineria. In aula, erano almeno una trentina quelli accorsi per assistere all’udienza conclusiva del giudizio di primo grado, dopo aver partecipato all’intero dibattimento. Nel pubblico, anche il consigliere comunale Virginia Farruggia e l’ex candidato a sindaco Simone Morgana (entrambi esponenti locali del Movimento cinque stelle), che hanno voluto seguire le fasi conclusive. Tra i legali di parte civile, anche gli avvocati Salvo Macrì, Giuseppe Laspina ed Ezio Bonanni. I legali di difesa degli imputati, gli avvocati Gualtiero Cataldo e Grazia Volo, hanno invece ribadito l’assoluta regolarità delle procedure messe in atto dagli imputati, che avrebbero rispettato le autorizzazioni rilasciate per lo smaltimento dei rifiuti in una vasca, comunque classificata come discarica. Hanno spiegato che il management aziendale fu costretto a fare i conti con i ritardi nel rilascio di atti autorizzativi e rinnovi da parte delle autorità competenti. Diversi operatori di raffineria sono stati chiamati in giudizio a testimoniare ed hanno descritto una situazione gestionale efficiente nella vasca 4. Valutazioni decisamente agli antipodi rispetto a quanto emerso dalle perizie, ma anche dalla testimonianza, molto dettagliata, resa da D’Agostino, che in più occasioni chiese interventi per mettere in sicurezza l’area. Il giudice D’Amore ha riconosciuto il diritto al risarcimento dei danni in favore delle parti civili e gli imputati condannati dovranno coprire anche le spese processuali sostenute dalle associazioni, dai lavoratori e dal Comune.