Gela. Entro le prossime ore, scatteranno ventisei nuove trasferte di operatori, fino a qualche settimana fa in servizio nello stabilimento Eni di contrada Piana del Signore.
I numeri della riconversione. I dipendenti sono destinati ad altri siti in Italia gestiti dal gruppo. In base ai dati nella disponibilità delle organizzazioni sindacali del settore chimico, sono attualmente 455 i dipendenti della società ancora in servizio in raffineria. Oltre 640, invece, hanno cambiato luogo di lavoro, fra trasferte in Italia e all’estero, passaggi ad Enimed e ai centri di formazione e sicurezza voluti dalla multinazionale in città. Numeri ai quali, ovviamente, bisogna aggiungere i dati sempre più allarmanti dell’intero indotto. I sindacati, però, tornano a chiedere certezze sui tempi di attuazione del progetto di green refinery. “Vogliamo capire subito – spiega il segretario della Femca Cisl Francesco Emiliani – le ragioni dei ritardi legati alla procedura di non assoggettabilità a valutazione d’impatto ambientale della green refinery. L’azienda aveva indicato la data del 12 marzo per avere il via libera. Da quanto ci risulta, tutto sarebbe in regola ma non arrivano risposte. Di chi è la responsabilità? Di Eni oppure del ministero che ha l’ultima parola sulla procedura?”. Una posizione sposata anche dai segretari provinciali di Filctem e Uiltec Gaetano Catania e Maurizio Castania. La non assoggettabilità a valutazione d’impatto ambientale, stando alle organizzazioni sindacali, dovrebbe dare un’ulteriore accelerata all’avvio dei primi cantieri in fabbrica, da tempo annunciati ma comunque mai partiti a pieno regime.
I sindacati contro il fermo delle esplorazioni e delle trivellazioni. Intanto, le stesse organizzazioni sindacali sono piuttosto chiare in vista del referendum del prossimo 17 aprile. Gli elettori sono chiamati a decidere se, una volta scadute le concessioni già rilasciate ai gruppi del settore estrattivo, si debbano fermare le attività nei giacimenti nonostante l’eventuale presenza di gas o petrolio. “Dire sì al fermo dei giacimenti e al blocco delle concessioni anche in mare – ammette il segretario provinciale dell’Ugl chimici Andrea Alario – sarebbe come negare quanto contenuto nel protocollo d’intesa di due anni fa. In un momento come questo, nessuno può permetterlo. Peraltro, se Eni si trovasse le porte chiuse in questo territorio, andrebbe comunque ad esplorare nuove aree ricadenti in altri stati”. Una posizione analoga a quella della triade sindacale. “La mia posizione e quella dei colleghi – conclude Emiliani – non può che essere per la prosecuzione delle attività di esplorazione e trivellazione in mare. Peraltro, a mio parere, non parliamo di progetti pericolosi per l’ecosistema né possiamo consentire che quasi due miliardi di euro previsti da Eni cambino destinazione”.