Gela. Ora che le acque della politica a Gela si sono, in qualche modo, placate è quasi doveroso farne un’analisi sgombra da ogni finalità che non sia la verità. Non sempre la politica si è rivelata la casa della nobiltà, che pure ha costellato la storia umana di grandi ed epocali svolte che le hanno consentito di fare passi da giganti verso mete di grande civiltà e di un modo di fare volto al bello, al bene comune, alla più generosa filantropia. Ma incontestabile mi pare che qualcosa di inusuale è accaduto nella nostra città: abbiamo dovuto assistere a un degrado politico-morale senza precedenti del quale, probabilmente, si è toccato il fondo e del quale non è semplice raccapezzarsi. Ciononostante cercherò, a breve, di darne almeno qualche ragguaglio. Non si era mai visto qualcosa del genere se non quando sul tappeto verde di un biliardo le biglie schierate vengono spaccate da uno dei giocatori e prendono tutte le direzioni. Non vige più la regola che voleva che il leader di una coalizione fosse il frutto di un merito oggettivo maturato negli anni, ma soprattutto l‘espressione di una fede incrollabile. Chiunque, da oggi, può praticare il salto della quaglia. Espressione colorita per qualificare il più becero dei trasformismi, come se fosse ormai un semplice esercizio per trarne solamente dell’utile.
Non scandalizza più il fatto che in una coalizione entri tutto e il contrario di tutto che assume legittimità in vista del risultato supremo: il potere! La percezione che se ne ricava è che è solo il vantaggio personale che muove le ambizioni e i desideri di tanti disperati cosiddetti politici. Assistiamo sgomenti che partiti dalla lunga e solida tradizione, inopinatamente disgregarsi, con leader incapaci di tenerli uniti e di parlare con una sola voce. Non ci si stupisce quasi più che non pochi candidati che, fino all’ultimo momento utile, non si decidono semplicemente per vagliare quale schieramento possa risultare loro più conveniente. E allora diviene quasi consequenziale che un partito proiettato verso una quasi scontata vittoria, imploda miserevolmente, sfasciando, di conseguenza, ciò che era stato faticosamente costruito in tanti anni. D’altronde è risaputo, come ci ha tramandato la tragedia greca, che i drammi più nefasti accadono all’interno delle famiglie (nel nostro caso, all’interno delle famiglie politiche). Questo non vuol dire che il neosindaco non sia legittimato a ricoprire un incarico tanto prestigioso quanto carico e gravoso di oceaniche responsabilità, alla luce anche della incombente spada di Damocle che è il conclamato dissesto economico-finanziario cui non è possibile, tra l’altro, voltare le spalle. E che dire di eminenze grigie della politica operare disinvoltamente e contemporaneamente in schieramenti contrapposti. Si può, a questo punto, parlare davvero della fine della politica per come l’abbiamo sempre intesa. Quando tutto è lecito e possibile e non ci si scandalizza più di nulla, che società può venirne fuori? Una volta i partiti erano fortemente strutturati e la selezione avveniva secondo un merito pressappoco oggettivo. Oggi i partiti non sono altro che comitati di potere il cui scopo principale è quello di attaccarsi ad una purchessia poltrona. Gli ideali? Roba da stupidi utopisti! Pertanto, questo ha dato la stura a un dilagante e deleterio civismo, come hanno sottolineato illustri politologi, non ultimo Sabino Cassese. Siamo di fronte alla degenerazione dei partiti e, in fondo, all’appagamento di un io piuttosto ipertrofico. Per non parlare dei ballottaggi, che altro non sono che la più spinta degenerazione della politica, caratterizzati come sono da mercimonio, ripicche, sgambetti, tradimenti, falsi e spesso innaturali apparentamenti, ma soprattutto dallo stravolgimento della volontà popolare nonché dalla mortificazione della democrazia. E allora succede che, in barba al principio che vuole che la democrazia sia soprattutto rappresentanza, il partito più suffragato risulta rappresentato in consiglio comunale da un solo consigliere a fronte di altri partiti, meno suffragati, che miracolosamente ne guadagnano d’un sol colpo cinque o sei. Salta subito agli occhi che qualcosa di distorto, di ironico, di cinico se non proprio di perverso è insito nella legge, una legge concepita e attuata coi piedi. A questo punto più logico sarebbe che tutto avvenisse solo al primo e unico turno. Personalmente mi sono fatto un’idea di come possa essere onorata pienamente la democrazia. Ma lascio alla politica il compito e l’onere di apportarvi le necessarie e corpose modifiche. Parlavo della fine della politica: la prova è anche l’allarmante astensionismo (penso ai quei poveri popoli privati del diritto di voto)! E allora succede che il sindaco venga votato solo dal venti per cento degli aventi diritto (non certo per colpa sua). Per ora questa è la legge e va rispettata. E allora non ci resta che augurare a questa amministrazione di saper portare a termine progetti e programmi che facciano compiere un salto di qualità a questa tribolata città, una città che non riesce ancora a dare un’immagine di sé che sia degna della sua storia antica, ma soprattutto degna di far parte di quella ristretta quanto prestigiosa cerchia di luoghi siciliani che già da tempo esercitano un fascino irresistibile nell’immaginario collettivo nel mondo. La ciliegina sulla torta, infine, l’ha messa il sindaco di una città vicina, entrando a gamba tesa in un gioco che non lo vedeva direttamente coinvolto, mancando perlomeno di fair-play. Ora, pensare alle straordinarie potenzialità che caratterizzano questa nostra città, viene da chiedersi se un dio capriccioso ne impedisca ancora il decollo economico, sociale, culturale. Nel bene e nel male non ho voluto fare alcun nome per non dare a questo o a quello una visibilità che dovrà ancora guadagnarsi, ma soprattutto perché lo stile me lo impone!