Intimidazioni e “pizzo”, imprenditori raccontano: la stidda non mollava

 
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Gela. La stidda non si sarebbe del tutto inabissata, continuando ad agire sul territorio cittadino attraverso il gruppo capeggiato da Emanuele Palazzo. Non è un caso, quindi, che neanche intimidazioni e richieste di denaro recapitate ad alcuni imprenditori locali si siano fermate.

Dagli atti d’indagine dell’inchiesta “Agorà”, emergono le ammissioni di due noti imprenditori: Ignazio Missud, titolare dell’omonimo gruppo edile, e Antonio Palena, a sua volta al vertice dell’azienda metalmeccanica Metal impianti. Su Missud, addirittura, si sarebbero concentrati gli interessi non solo della stidda e, di conseguenza, dello stesso Palazzo, ma anche di alcuni esponenti di vertice di cosa nostra.
L’imprenditore, sentito dagli inquirenti, ha confermato che Emanuele Palazzo, almeno due volte, lo fermò nella zona del centro storico chiedendogli denaro per il mantenimento dei detenuti: presentandosi, fra le altre cose, come esponente della stidda.
“Nele Palazzo – ha ammesso l’imprenditore – mi ha fermato nei pressi del bar Siracusa chiedendomi soldi per i detenuti. Lo liquidai, dicendogli che non avevo denaro ma la cosa si ripeté altre volte”.
Ma sul gruppo imprenditoriale Missud avrebbero messo gli occhi anche Armando D’Arma e Alessandro Antonuccio, noti esponenti di cosa nostra. Si sarebbe rischiato, quindi, un contrasto fra i due gruppi: reso ancor più aspro dall’intervento, prima del suo definitivo arresto, dello stiddaro Franco Morteo. Una verità resa agli inquirenti anche da Antonio Palena, imprenditore, a sua volta, finito nel mirino dei clan.
Diversi i danneggiamenti subiti, compreso quello degli uffici aziendali di via Aretusa. “Ho parlato con i miei familiari di questi avvertimenti – ha dichiarato Palena – perché mi hanno molto infastidito”.
La sua società, secondo l’indagine, sarebbe finita nel mirino di cosa nostra che avrebbe preteso almeno cinquemila euro: a mediare, in questo caso, sarebbe stato proprio Emanuele Palazzo.

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