Gela. Si sono accusati a vicenda davanti al presidente Paolo Fiore e ai giudici Luca Solaini e Fabrizio Molinari. Ieri mattina, a Palazzo di giustizia, è andata in scena una nuova udienza del processo che vede come imputato l’imprenditore, ed ex consigliere comunale, Francesco Muncivì insieme ai fratelli Giuseppe e Silvio Giorrannello.
Le accuse contestate dal pubblico ministero Onelio Dodero riguardano la presunta infiltrazione d’imprese controllate dai gruppi locali di stidda e cosa nostra tra i cantieri del complesso abitativo La Cittadella.
“Ho accettato che le società guidate dai fratelli Giorrannello lavorassero per conto delle cooperative impegnate alla Cittadella – ha ammesso Franco Muncivì rispondendo alle domande poste dai difensori Flavio Sinatra e Antonio Gagliano – perché ero intimorito. Francesco Vella mi disse, durante un incontro organizzato dai Giorrannello, che se le loro società non avessero avuto le autorizzazioni per avviare i cantieri, nessuno avrebbe lavorato”.
Muncivì ha descritto un sistema incentrato su presunte pressioni che giungevano non solo da cosa nostra ma anche dalla stidda.
“I lavori alla società Rudeve – ha continuato – vennero assegnati perché i responsabili di quel gruppo si presentarono insieme a Carmelo Fiorisi, Enrico Maganuco e Franco Morteo”.
Il geometra, inoltre, non ha neanche nascosto i rapporti che, stando alla sua versione, i fratelli Giorrannello avrebbero avuto con la famiglia Emmanuello. Diametralmente opposta la versione fornita da Giuseppe e Silvio Giorrannello. “A comandare era solo ed esclusivamente Franco Muncivì – hanno detto – ci conosceva già prima dell’avvio dei cantieri alla Cittadella. Fu proprio lui a mandarci nella casa di campagna della famiglia Emmanuello per eseguire alcuni lavori che non ci sono mai stati pagati”.