Gela. Il giuramento di ieri, in un’aula consiliare già torrida per le alte temperature, ha consentito al sindaco Lucio Greco non solo di “avvisare” l’opposizione che potrebbe decidere di “non accettare il risultato elettorale” rivolgendosi ai giudici amministrativi, ma anche di rilanciare (in modo inaspettatamente netto) la questione industriale. Un’industria che per Greco altro non è che Eni. “Rinegozierò gli accordi con Eni – ha detto durante l’intervento – e chiamerò alle proprie responsabilità la classe politica e quella sindacale”. La “planimetria storica” tracciata in pochi minuti dal sindaco tocca due punti ritenuti di svolta, l’insediamento dell’industria pesante in città e il protocollo d’intesa di cinque anni fa. “Tutte le criticità della città di oggi – ha proseguito – sono diretta conseguenza di scelte fatte in quei momenti. Con la firma del protocollo d’intesa, la città ha preso coscienza che gli effetti moltiplicativi di crescita sono falliti e le condizioni di degrado del territorio si sono aggravate. Tutto è stato sacrificato agli interessi del petrolchimico”. Le conseguenze dirette di questi processi storici per il sindaco sono piuttosto evidenti, “un’industrializzazione fallita che non ha generato sviluppo ma che ha lasciato sul campo molte macerie”.
Il primo cittadino non vuol però passare per un leader anti-Eni. “Non sono colpito da una sindrome anti-industria – ha aggiunto – non sono, per cultura, contro l’industria, ma sono per Gela che va risarcita, senza se e senza ma”. Probabilmente, Greco guarda oltre i confini locali, nel tentativo di trasformare il caso Gela in una “vertenza” nazionale. Non a caso, ha citato il parallelismo con Taranto. “A differenza di Taranto – ha concluso – Gela non è al centro del dibattito nazionale, pur avendo ospitato uno dei poli industriali più grandi d’Europa, oggi è una città in crisi e abbandonata”.