Gela. Già dalla prossima settimana, gli indagati nell’inchiesta “Camaleonte” inizieranno a presentarsi davanti ai giudici del tribunale del riesame. Nel corso degli interrogatori, successivi agli arresti, tutti hanno respinto ogni addebito. I pm della Dda di Caltanissetta, però, sono convinti che la “galassia” imprenditoriale della famiglia Luca sia stata finanziata dal clan Rinzivillo, che avrebbe “scommesso” sulle attività di Salvatore Luca, del figlio Rocco Luca e di Francesco Luca, attualmente detenuti in carcere. Le difese, sostenute dagli avvocati Flavio Sinatra, Antonio Gagliano e Alfredo D’Aparo, chiederanno di rivedere i provvedimenti emessi nei confronti degli indagati, arrestati dai finanzieri del Gico, che hanno seguito l’intera indagine. Sono emersi presunti rapporti di vicinanza tra gli imprenditori ed esponenti della criminalità organizzata, non solo la famiglia Rinzivillo ma anche la cosca catanese dei Mazzei. I collaboratori di giustizia hanno tracciato presunte relazioni “pericolose” tra i Luca e i vertici dei gruppi di mafia che si rifanno ai fratelli ergastolani Antonio Rinzivillo e Crocifisso Rinzivillo. Al riesame si rivolgeranno anche gli altri indagati, ritenuti decisivi nella gestione delle aziende, adesso in amministrazione giudiziaria. Francesco Gallo, Maria Assunta Luca, Concetta Lo Nigro e Emanuela Lo Nigro, sono sottoposti al divieto di dimora nelle province di Caltanissetta e Ragusa.
Il presunto tramite “istituzionale” dei Luca sarebbe stato invece il dirigente di polizia Giovanni Giudice, a sua volta indagato. Il poliziotto (difeso dall’avvocato Giacomo Ventura), per anni in servizio a Gela e Caltanissetta, avrebbe accreditato gli imprenditori come vittime della mafia, usufruendo di benefit economici, dalle auto ad una carta di credito intestata ad una delle aziende della famiglia.