Il “sacco” di Gela, tanti reperti archeologici mai ritornati in città: Iudice e Brugioni, “il caso dell’erma a Ragusa”

 
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Gela. Tanti “pezzi” pregiati della storia arcaica locale sono ancora sparsi

per tutta la Sicilia e non solo. Si fa fatica a farli rientrare.
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L’erma finita a Ragusa. Un allarme, l’ennesimo, che arriva dai componenti del comitato Salviamo la bellezza. Sono gli artisti Giovanni Iudice e Giuseppe Brugioni a sollevare nuovamente la questione. “Dopo un’attenta ricerca, basata sullo studio e l’incrocio di dati di vecchie pubblicazioni, grazie al lavoro costante e certosino del socio Giuseppe Brugioni – spiega Iudice a nome del comitato – temiamo, con il dovuto beneficio del dubbio da verificare nelle dovute sedi istituzionali e con i professionisti del settore, che la collezione museale di Gela sia stata privata di diversi reperti a causa di un errore scientifico di contestualizzazione. Facciamo  riferimento ad una Erma in bronzo del V secolo a.C., proveniente dalle contrade ad est della città di Gela, che è stato oggetto di pubblicazione nel 1909 da parte dell’archeologo Paolo Orsi (Monumenti Antichi Vol XIX – Accademia Nazionale dei Lincei – Nuove Antichità di Gela). Il reperto risulta esposto attualmente nel Museo Archeologico di Ragusa, dove è indicato come proveniente dagli scavi Orsi, in particolare dalla necropoli di Passo Marinato presso Camarina, e, con la stessa dicitura, è presentato con una descrizione sommaria tra i reperti del Museo ragusano nella pagina web dell’Assessorato dei beni culturali e dell’identità siciliana. Sembrerebbe la stessa trovata dall’Orsi a Gela”. Insomma, uno dei tanti reperti sottratti alla città. Ma il caso dell’erma non sarebbe neanche l’unico.
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Tanti “pezzi” smarriti. “Forti dubbi riguardano anche altri reperti rinvenuti da Paolo Orsi e indicati come provenienti da Camarina – dice ancora Iudice – sempre esposti a Ragusa. Facciamo riferimento di preciso ad un’anfora Attica interamente verniciata in nero che l’archeologo descrive con anse attorte a funicella e attaccatura alla spalla del vaso ornata a palmette ioniche che somiglia, in modo sorprendente, ad un’anfora rinvenuta a Gela in contrada Spinasanta e pubblicata dallo stesso Orsi nel 1932 (Notizie degli scavi di antichità – Accademia Nazionale dei Lincei – Gela Esplorazione di una necropoli in contrada Spinasanta). Dal momento che due dubbi potrebbero rivelare una certezza o comunque spingere ad un’analisi maggiormente attenta, chiediamo alla direzione del Museo di Gela, nella persona dell’architetto Emanuele Turco, di verificare quanto suddetto nelle sedi opportune e con gli specialisti competenti, ipotesi che potrebbe rivelare un gravissimo errore scientifico che priva, ancora una volta, la città di Gela di una parte della sua storia”.
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Tanti dubbi, quindi, aleggiano su un patrimonio storico ed artistico che la città stenta a riavere.

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