Gela. La sommossa del popolo di Castellammare del Golfo del 2 gennaio 1862 al grido di “fora la leva! Abbasso i cappeddi! W la repubblica! Morte ai Cutrara!” fu subito deviata dall’intervento della mafia, che a prima vista sembrerebbe annullare quella fermentazione ideale che aveva animato l’iniziativa della sommossa.
La genesi di questa sommossa va ricercata nella situazione economica finanziaria precaria, nella delusione della soluzione unitaria, nell’aumento dei prezzi e nello strapotere economico e sociale acquisito dai Cutrara Certo la propaganda degli oppositori stranieri al regno Borbonico che definendo questo regno fuori dalle leggi umane e contrario all’esistenza di Dio, anche se strumentale, come asserisce lord Gladstone che aveva scritto la famosa lettera sulla “negazione di Dio” per incarico di lord Palmerston e che non aveva mai visto un carcere borbonico e avere raccontato cose che lui non aveva mai visto. Il giudizio dato sullo stato Borbonico era manifestamente falso, perché lo stato del regno delle due Sicilie , possedeva il doppio delle riserve di tutti gli Stati dell’Italia di allora. Infatti esistevano al sud 761 stabilimenti differenti di beneficenza ed oltre 1.131 monti frumentari, i Bordoni tra il 1.700 e il 1.800 avevano creato condizioni di vita eccellenti nel territorio meridionale assai migliori di quelli esistenti nel resto d’Italia
La stessa Inghilterra, patria, dei delatori, a proposito dei diritti umani, opprimeva i popoli dell’Irlanda, delle Indie, di Cylon e delle isole dello ionio, mentre la Francia, inviava oltre 10.000 prigionieri politici in Algeria e nelle Cayenne e la Russia e la Turchia reprimevano intere popolazione come i Polacchi, i Cosacchi e gli Armeni e non consideriamo le operazione della liberale Inghilterra contro i cattolici e gli Irlandesi.
Ferdinando II, in particolare, si prodigò ad emanare leggi favorevoli ai cittadini promovendo l’abbassamento delle tasse, migliorando la condizione di vita dei suoi sudditi, per contrastare il giacobinismo liberale crescente di allora, così si trovò a combattere l’avanzata giacobina che aveva un solo obiettivo: creare uno stato in cui si affermasse la dittatura capitalistica della massoneria anticattolica della borghesia illuministica, come quella che si era affermata in Piemonte.
La devozione dei cittadini del regno delle due Sicilie, esaminando la situazione economico sociale, non era tale da opporsi al re Borbone nella forma che la storia ufficiale ha voluto tramandarci, senza nessuna possibilità di replica e di contrasto. Definendoci categoricamente briganti, incolti, affamati e senza nessuna assistenza medica, giuridica ma secretando tutta la documentazione ufficiale dei drammi della guerra civile non dichiarata e avvalendosi con le buone o le cattive azioni a tacitare il meridione fino a renderlo consapevole che ogni castroneria affermata dagli storici ipocriti di regime risultasse veritiera e ogni cosa che emergesse dagli storici ricercatori meridionali non venisse presa in considerazione perchè fasulla.
Oggi sono stati finalmente portati alla luce alcuni documenti ufficiali e sono emersi molti aspetti della nostra storia e dei nostri briganti. I nostri eroi dell’invasione piemontese, cominciano ad apparire all’orizzonte oscurati dalla letteratura ipocrita dello stato, retto da ladri e delinquenti prezzolati che continuano a propinarci pedissequamente notizie distorte e capitoli di storia falsa. Tutto per distrarre la nostra attenzione dai vecchi problemi storici, invitarci così a dimenticare le nostre origini, la nostra dignità di uomini ricchi di tradizione storica culturale. Vivendo nell’ignoranza, possiamo continuare a cullarci in un sogno onirico che nessuno riuscirà mai a decifrare per renderlo reale. Comunque, ritornando ai fatti del 3 gennaio 1861, lo storico De Sivo, afferma “che all’alba di quella mattina due legni a vapore sbarcarono con il generale Quintini e appiccarono la zuffa, muore il capitano Mazzetti dello stato maggiore che veniva ucciso con molti soldati e altri restano feriti”.
Dal battello Monzambano, dove era imbarcato Quintini, partirono molte cannonate, mentre le truppe reduci da Trapani si sparsero per le città e si mandarono staffette per organizzare sevizie ai cittadini e militi a cavallo furono impegnati per sopraffare i paesani. Gli oppositori furono sloggiati con alcuni colpi di cannone e si trasferirono nelle montagne. Il Quintini afferra 7 persone e tra questi un prete, Benedetto Palermo, e li fucila all’istante.
Una misera ribellione costa ai Castellammaresi un grosso sacrificio, che noi meridionali dobbiamo solo dimenticare, per non disturbare il quieto vivere del popolo del nord laborioso e senza nessuna colpa?.
Però quel cittadino meridionale che si pone irresponsabilmente questo problema: perchè dopo il 1860 tutte le infrastrutture e il progresso tecnologico si concentra nel nord mentre al sud spariscono le fabbriche e viene bloccato qualsiasi lavoro dello stato colonizzatore? Noi meridionali dobbiamo vivere da bravi sudditi senza mai dispiacere il potere dominante, infatti tutta la cultura meridionale è orientata a farsi strada per raggiungere il potere tacitando la vecchia storia e mettendosi al servizio del nord che continua a dire che siamo arretrati senza mai chiedersi il perché. Così facendo si possono raggiungere vette eccelse coma la Presidenza della repubblica o come rettori delle università o giornalisti importanti della RAI, senza tanti sacrifici solo facendo finta che il problema non esiste e dimostrandosi servitori del popolo del nord. Non ci resta che ricordare alcuni nomi di uomini e donne che hanno combattuto per la nazione Borbonica sacrificando la loro breve vita e ostacolando il lavoro del popolo onesto venuto per liberarci!!!
Ninco Nanco di Eugenio Bennati:
Sarà una spina nel fianco Ninco Nanco quando campa,
sarà una spina nel cuore Ninco Nanco quando muore.
Sarà una spina nel fianco Ninco Nanco quando campa,
sarà una spina nel cuore Ninco Nanco quando muore.
1859, muore il vecchio re Borbone
e sul trono va suo figlio, 23 anni, ancora guaglione.
E’ il momento di approfittare di questo vuoto di potere,
di quel regno in mezzo al mare difeso solo dalle sirene.
E u Banco ‘e Napoli è l’ideale per rifarsi delle spese,
per coprire il disavanzo della finanza piemontese.
E Ninco Nanco deve morire perché la storia così deve andare
e il Sud è terra di conquista e Ninco Nanco nun ce po’ stare,
e Ninco Nanco deve morire perché si campa putesse parlare
e si parlasse putesse dire qualcosa di meridionale.
Sarà una spina nel fianco Ninco Nanco quando campa,
sarà una spina nel cuore Ninco Nanco quando muore.
Sarà una spina nel fianco Ninco Nanco quando campa,
sarà una spina nel cuore Ninco Nanco quando muore.
E lo Zolfo di Sicilia e i cantieri a Castellammare
e le fabbriche della seta e Gaeta da bombardare.
E’ l’ideale che fa la guerra, una guerra dichiarata
per vedere chi la spunta tra il fucile e la tammurriata,
e tammurriata è superstizione, questa storia deve finire
e qui si fa l’Italia o si muore e Ninco Nanco deve morire.
E Ninco Nanco deve morire perché la storia così deve andare
e il Sud è terra di conquista e Ninco Nanco nun ce po’ stare,
e Ninco Nanco deve morire perché si campa putesse parlare
e si parlasse putesse dire qualcosa di meridionale.
Sarà una spina nel fianco Ninco Nanco quando campa,
sarà una spina nel cuore Ninco Nanco quando muore.
Sarà una spina nel fianco Ninco Nanco quando campa,
sarà una spina nel cuore Ninco Nanco quando muore.
E per sconfiggere il brigantaggio e inaugurare l’emigrazione
bisogna uccidere il coraggio e Ninco Nanco è meglio che muore.
Perché lui è nato zappaterra e ammazzarlo non è reato
e dopo un colpo di rivoltella l’hanno pure fotografato.
E la sua anima è già distante, ma sul suo volto resta il sorriso,
l’ultima sfida di un brigante: “Quant’è bello murire acciso”.
E Ninco Nanco deve morire perché la storia così deve andare
e il Sud è terra di conquista e Ninco Nanco nun ce po’ stare,
e Ninco Nanco deve morire perché si campa putesse parlare
e si parlasse putesse dire qualcosa di meridionale.
E Ninco Nanco da eliminare e se lui muore chi se ne frega,
sia maledetta la sua storia, sia maledetta questa canzone.
Sarà una spina nel fianco Ninco Nanco quando campa,
sarà una spina nel cuore Ninco Nanco quando muore.
Sarà una spina nel fianco Ninco Nanco quando campa,
sarà una spina nel cuore Ninco Nanco quando muore.
Sarà una spina nel fianco Ninco Nanco quando campa,
sarà una spina nel cuore Ninco Nanco quando muore.
E Ninco Nanco deve morire perché si campa putesse parlare
e si parlasse putesse dire qualcosa di meridionale.
Dopo le parole di questa canzone, e per rispetto all’autore Eugenio Bennati, non ritengo aggiungere alcun commento.
Solita sfilza di invettive ed insulti, prodotto di quel vittimismo piagnucoloso ed autoassolutorio che ha prodotto tanti danni al Sud dell’Italia e che il neoborbonismo ha purtroppo rilanciato.
Eppure se Maganuco avesse letto con attenzione il De Sivo, avrebbe scoperto che don Giacinto aveva già individuato acutamente le ragioni del crollo del regno borbonico proprio nella politica di Ferdinando II e del suo maldestro erede. Dice De Sivo: “Le tante economie, se coordinate con gli altri principi governativi, sarebbero state gran bene; ma sole, in disarmonia col resto, ne furono talora danno. Esse così assorbirono gli occhi de’ governanti, che questi sol badando al risparmio non vedevan altro. In ogni cosa si voleva spendere poco. Poco per soldi a uffiziali, e n’erano spinti a disonestà; poco per molte opere pubbliche, e talora se ne avean melense; poco per indennità di viaggi, e non s’andava a vedere le cose; poco per la polizia, e quasi più non v’era polizia; poco per tutto, e spesso mancava il decoro. Soprattutto fu cieca l’economia su’ bassi impiegati. […] E il più per campare si vendé alla setta. […] La Finanza per risparmiare battagliava con tutti i ministeri […] quasi il governo non fosse uno, ogni ministero attendeva a stringere tutti; ogni primario amministratore studiava la lesina per presentare risparmii alla fine dell’anno. […] Tanti stringimenti si facevano per non imporre altre tasse, ma essi partorivano una maniera di tasse illegali; perciocché gli uffiziali bisognosi e pagati male, si vantaggiavano sulla povera gente; la quale giudicando grosso, a ogni motto dicevali tutti ladri. Quindi mance per ogni cosa, a uscieri, a servitori, regalie indecorose il Natale e la Pasqua, gli onomastici e i morti; s’era fatto andazzo nel quale pur qualche onesto cadeva” (G. De Sivo, Storia delle Due Sicilie dal 1847 al 1861, vol. III, Verona, Vicentini e Franchini, 1865, pp. 107-108). E per concludere, “Temuti gli uomini di testa, s’andò cercando la mediocrità, perché più mogia; non si volle o non si seppe cercare i migliori e porli ai primi seggi. E come tutto si tirava alla potestà, i ministri volean parer di fare essi tutto, e però anche del bene che facevano non trovavan merito. Fur messi a una spanna amici e nemici, dotti e ignoranti, operosi e infingardi; e per non fidarsi in nessuno, e non aver bisogno d’intelletti, fu ridotta a macchina l’amministrazione e il governo. Si credeva così non s’avesse mestieri a pensare; e una certa forma d’architettura moveva il tutto. Ma gli uffiziali stessi, usati a mo’ di strumenti, se ne ridevan, o sbottoneggiavano, e profetavano l’impossibilità della durata. La nave dello stato non provveduta di piloti andò in tempo di calma più anni barcollando; poi al primo sbuffo, non trovandosi mano esperta al timone, senza guida affondò” (Storia, vol. II, Roma, Salviucci, 1864, p. 255). Altro che canzonette!