“I have a dream”… diventare netturbino, il perchè di tante richieste

 
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GELA.  “I have a dream”, pronuncia Martin Luther King il 28 agosto 1963 davanti al Lincoln Memorial di Washington alla fine di una manifestazione per i diritti civili. Quel discorso diventa un punto di svolta nella storia americana e un faro di speranza per un futuro più giusto e inclusivo. Senza suscitare le ire dei puristi americani (destra o sinistra poco importa) o dei più sfegatati sostenitori del sogno Usa, senza scomodare nessuno perché non c’è alcuna distribuzione del chewingum della libertà, in città c’è un refrain più periferico e maccheronico che si insinua nel DNA dei gelesi lavoratori. E’ pure qualcosa di emotivo.  “I have a dream: ‘u postu i travagghiu ‘da munnizza”. Oltre duemila candidati per una settantina di posti di lavoro messi a concorso dall’Impianti SRR Ato 4. Tanti, tantissimi. Perché si chiedono gli analisti o presunti tali di economia locale. La fame di lavoro? Non ci credo, non mi lascio intrappolare dalla solita retorica del vittimismo e della disperazione del posto di lavoro. Non vorrei essere prigioniero della solita solfa tipica dei simposi lunghi e noiosi. Peraltro, non sarà questo concorso a risolvere il problema occupazionale di Gela e dintorni frenando l’emorragia di emigrati. C’è qualcosa di più profondo, di più intimo, che scorre in quel groviglio di vasi sanguigni che collegano vene e arterie del cervello. Sia chiaro a tutti che l’Impianto SRR Ato 4 rispetta in maniera assoluta la disciplina lavoristica e i contratti discendenti. Le retribuzioni non penso siano superiori a quelle del settore industria o altri comparti lavorativi.

Qual è il morbo che caratterizza l’eccessiva partecipazione di candidati? L’orario di lavoro? Può darsi. Così, qualcuno a denti stretti tra un caffè rancido e un Pastis (liquore francese caratterizzato dalle note speziate di anice e liquirizia) si sbilancia con gli amici che preferiscono invece impegnarsi in altre attività. “Cumbà, menza iornata i travagghiu e si quietu. Ti resta tempo pi fari chiddu chi voi”.  Cioè, gli chiede l’amico? “Ai tempu pi passiari o fariti ‘navitru travagghiu”. Un discorso di altissimo livello, un elemento base della nostra dimensione sociale. Altro che intelligenza artificiale ritenuta in grado di azzerare ogni errore. Un traguardo di modernità? Il lavoro è libertà, ma quella è una prospettiva di pensiero allarmante che raffigura una limitazione alla libertà della persona umana.

Carlo I

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