Roma. «Oggi in memoria di Falcone e Borsellino si fanno grandi celebrazioni, ma quando erano vivi anche all’interno della magistratura non avevano molti amici e anche questo ha reso forte Totò Riina».
L’isolamento che circondava i due magistrati uccisi dalla mafia nel ’92 rafforzò ulteriormente Cosa Nostra. È l’opinione di un ex capomafia, Nino Giuffrè, ora pentito, sentito nell’aula bunker del carcere di Rebibbia di Roma nell’ambito dell’incidente probatorio sollecitato dalla procura di Caltanissetta che ha riaperto le indagini sull’uccisione di Borsellino, fatto saltare in aria con un’autobomba il 19 luglio del 92.
L’esame di Giuffrè, primo dei quattro pentiti che sfileranno davanti al gip Alessandra Giunta, in trasferta a Roma fino a venerdì, è stato chiesto anche dal legale del capomafia Salvatore Madonia e del boss Vittorio Tutino, due degli ultimi quattro mafiosi arrestati a marzo per l’eccidio di via D’Amelio, tirati in ballo nella nuova inchiesta aperta grazie alle dichiarazioni del collaboratore Gaspare Spatuzza. Giuffrè ha ricordato una delle riunioni deliberative della strage, organizzata a dicembre del 91 a cui – ha detto – partecipò Madonia. Nella nuova inchiesta sono coinvolti, oltre a Madonia e Tutino, Salvatore Vitale e Calogero Pulci, pentito poi espulso dal programma di protezione. All’incidente probatorio partecipano per la Procura i pm Nicolò Marino, Stefano Luciani, Gabriele Paci e l’aggiunto Nico Gozzo.