Gela. I presunti rapporti con Sergio Gandolfo, tra i boss del clan catanese dei Mazzei, e le potenti auto della loro concessionaria che arrivavano anche nell’est Europa. A raccontare i contatti frequenti che ci sarebbero stati tra lo stesso Gandolfo, altri catanesi e gli imprenditori del gruppo Luca, è stato Francesco Fiore. L’etneo, a sua volta inizialmente inserito nel settore della compravendita di automobili, ha vissuto per anni tra l’Ungheria e altre zone dell’est Europa. “Da Lucauto Gandolfo era di casa – ha detto rispondendo alle domande dei pm della Dda di Caltanissetta Nadia Caruso e Pasquale Pacifico – non mi risulta che abbia mai pagato per l’acquisto di auto. Addirittura, i Luca gli fecero avere una Bmw particolare, da collezione”. Fiore, attualmente detenuto e già evaso violando una misura che gli era stata imposta in Austria, ha spiegato di aver acquistato una Maserati proprio dai Luca. “L’auto però mi venne portata via in Ungheria – ha riferito – i Luca, per favorire Gandolfo, presentarono una denuncia. Il passaggio di proprietà non era stato ancora definito. Io lasciai la mia auto, versai un anticipo e poi bisognava procedere con assegni da coprire periodicamente. Non appena arrivai in Ungheria, però, una persona vicina ai Luca venne e si prese la macchina. Non ho più saputo che fine abbia fatto”. Per gli inquirenti, fu Fiore a supportare Gandolfo anche in trattative per armi e droga. Secondo quanto ha riferito in videocollegamento dalla struttura detentiva dove è attualmente recluso, auto dell’attività dei Luca sarebbero finite anche ai fratelli ceceni Jushuf e Mohammed Nunajev, che in Ungheria gestivano attività commerciali e sarebbero stati coinvolti nel traffico di armi. Ha raccontato di un viaggio di Salvatore Luca in Ungheria “ma io non lo incontrai”. Le difese degli imprenditori invece hanno insistito sul fatto che sarebbe stato Fiore a truffare i Luca e a non versare quanto previsto per l’acquisto della Maserati. Anche i periodi indicati dal testimone sono stati messi in forte discussione. In aula, sempre attraverso una videoconferenza, è stato sentito uno degli ex riferimenti del gruppo di mafia dei Madonia, Carmelo Barbieri, da anni collaboratore di giustizia. Ha spiegato di conoscere i Luca, soprattutto Salvatore Luca. “Si riforniva nell’attività di frutta e verdura che avevamo”, ha detto. “In città – ha aggiunto – era un dire comune che i Luca facessero usura. Salvatore Luca mi disse di avere rapporti con persone del catanese. Escludo però che fosse addentro a dinamiche mafiose. Una volta, il padre dei Rinzivillo mi disse che Luca doveva ringraziare i suoi figli. Io onestamente non approfondii. Gli dissi che non mi interessava”. L’ex referente dei Madonia sul territorio ha inoltre spiegato che i clan si rivolgevano alle attività degli imprenditori, coinvolti nell’inchiesta “Camaleonte”. “I Luca pagavano ai Rinzivillo e ai Madonia e ci andavano anche gli stiddari – ha precisato – diciamo comunque che Luca si metteva a disposizione per cortesie”. Tutte ricostruzioni che i legali di difesa hanno sempre respinto al pari degli imprenditori, che più volte hanno sostenuto di aver sempre denunciato imposizioni della criminalità e tanti tentativi di truffa ai loro danni.
I testimoni sono stati sentiti nel corso del dibattimento scaturito dal blitz “Camaleonte” e davanti al collegio penale presieduto dal giudice Miriam D’Amore. In precedenti udienze, altri collaboratori di giustizia hanno invece escluso collegamenti tra gli imputati e le organizzazioni mafiose. Sono a giudizio Salvatore Luca, Rocco Luca, Francesco Luca, Francesco Gallo, Concetta Lo Nigro, Emanuela Lo Nigro, Maria Assunta Luca, oltre ai due poliziotti Giovanni Giudice e Giovanni Arrogante (questi ultimi rappresentati dagli avvocati Giacomo Ventura, Michele Ambra, Emilio Arrogante e Marina Giudice). Il dirigente di polizia Giudice (a processo solo per i rapporti con i Luca), rilasciando dichiarazioni spontanee, ha respinto ogni ipotesi di contatti con esponenti della criminalità organizzata. “Non ci furono mai discorsi con Celona”, ha riferito. Gli imprenditori e i loro familiari sono difesi dai legali Antonio Gagliano, Filippo Spina, Flavio Sinatra, Carlo Taormina, Carmelo Peluso, Luigi Latino, Fabio Fargetta e Alessandro Diddi.