Gela. La disillusione prende il sopravvento su qualsiasi speranza. Ad un anno di distanza dall’accordo, sottoscritto al Mise la vertenza Gela è ad un bivio. Ecco perchè il deputato di Forza Italia, Pino Federico, ha deciso di rivolgersi a Matteo Renzi, colui che il 14 agosto di un anno fa disse di aver “salvato Gela”.
Federico non gira attorno alle parole, rivolgendosi al Premier.
“Presidente del Consiglio, la città di Gela avrebbe dovuto vedere sorgere una nuova Raffineria che, grazie all’utilizzo di tecniche moderne, sarebbe stata in grado di creare sviluppo e posti di lavoro nell’assoluto rispetto dell’ambiente. Un sito ecocompatibile, innovativo, una Green Refaniry tra le più importanti (se non addirittura la più importante) d’Europa.
La città, i lavoratori, i sindacati, le Istituzioni, furono rassicurate del fatto che detta chiusura non avrebbe comportato la perdita di nessun posto di lavoro perché le maestranze “temporaneamente” estromesse dal ciclo produttivo della “vecchia” Raffineria sarebbero state, successivamente, ricollocate nella nuova industria. Principio, questo, accoratamente ribadito da Lei stesso allorquando, il 14 Agosto del 2014, decise di fare tappa a Gela e di incontrare Istituzioni e cittadini. Inoltre, nel medesimo accordo, veniva espressamente prevista l’istituzione della “area di crisi complessa” che contemplava, tra le altre cose, lo stanziamento di un apposito fondo al quale, all’uopo, si sarebbe potuto fare ricorso per fornire un adeguato supporto ai lavoratori sprovvisti di ammortizzatori sociali (ordinari o straordinari) perlomeno fino alla fase di ricollocazione degli stessi. Tutto questo, come detto all’inizio, succedeva esattamente un anno fa.
Urbi et orbi, quello testé descritto, è stato definito – con orgoglio – il “modello Gela”. Un accordo storico da prendere come esempio da emulare in simili realtà poiché risolutivo di problemi atavici del territorio quali, ad esempio, quello della tutela ambientale e comunque “rivoluzionario” in quanto in grado, in tempi brevi, di attenuare l’emergenza occupazionale, impattando fortemente con la stessa, grazie alla creazione di posti di lavoro certi e duraturi per i cittadini gelesi e, addirittura, per quelli dei comuni limitrofi.
La realtà, invece, caro Presidente Renzi, è che quel protocollo, a distanza di un anno dalla sua sottoscrizione, si è rivelato un totale fallimento. Quell’accordo non ha risolto la “vertenza Gela”, l’ha creata! Invero, ad oggi la Raffineria di Gela – oramai in marcia solo con qualche impianto residuale che nulla ha a che fare con la lavorazione del greggio – conta alle proprie dipendenze un centinaio di dipendenti del diretto (a fronte delle 1200 unità circa precedentemente impegnate) e l’indotto, invece, arriva a includere solamente duecento unità (a fronte delle 1500 unità circa precedentemente impegnate), saltuariamente “utilizzate” per le pressoché irrisorie attività residuali.
La definitiva chiusura dell’ultima linea ancora in marcia che ha decretato la fine della raffinazione nel sito (unica cosa realmente verificatasi fra tutte le cose previste nel protocollo), ha comportato l’azzeramento delle attività di manutenzione e soprattutto ha reso impossibile la rotazione del personale all’uopo impegnato per lo svolgimento di dette lavorazioni, il quale, fino a quando venne tenuta in funzione almeno la linea 1, a turni, riusciva ad essere inserito in produzione per poi, successivamente, essere ricollocato in cassa integrazione. L’assenza di flussi economici che è conseguita dalla mancata erogazione degli stipendi ha portato al collasso l’economia del territorio ed ha spinto allo stremo delle forze, fino alla loro stessa mortificazione, le famiglie dei lavoratori che si sono ritrovate, nel migliore dei casi, a dovere “sopravvivere” con il solo ausilio dell’assegno della Cassa Integrazione.
Delle nuove attività, delle bonifiche, dei moderni impianti, ahimè, nemmeno l’ombra poiché gli iter autorizzativi e progettuali non sono partiti o, se lo hanno fatto, sono ancora agli albori, per non parlare degli investitori diversi da ENI, tutti spariti.
Ma la cosa più grave – e qui il danno diventa beffa – è che le aziende del territorio, le quali con grande senso di responsabilità hanno tenuto legate a se le maestranze (piuttosto che licenziarle), hanno completamente concluso la filiera degli ammortizzatori sociali da potere utilizzare e i lavoratori non hanno più nessuna copertura al quale “aggrapparsi” stante il fatto che i fondi a loro sostegno previsti nel famoso (rectius famigerato) decreto che ha istituito l’area di crisi complessa, non sono mai stati erogati dal Governo (che lo ha sottoscritto).
Quello che doveva essere il piano di salvezza e rilancio di questa città si è trasformato nel peggiore dei mali, si è trasformato nel “caso Gela”. Proprio così, caro Presidente, Gela è diventato (o lo diventerà a breve) un caso che merita l’attenzione di tutti, un caso nazionale. La gente è disperata, non azzardo quando affermo che questa situazione può seriamente sfociare in disordini sociali. Come è potuto succedere tutto ciò? Come si è potuto abbandonare a se stesso un intero territorio, tra l’altro, nel più assordante dei silenzi?… E pensare che solamente nel 2011 la Regione Siciliana, la Provincia regionale di Caltanissetta, Confindustria, Lega coop e le OO. SS., assieme ai vertici della società del cane a sei zampe (del quale, lo ricordo a me stesso, Ella, nella qualità, rappresenta il maggiore azionista), sottoscrivevano un accordo volto al potenziamento del Sito gelese considerato, per tipologia produttiva e collocazione, una Raffineria di alto interesse sulla quale ENI, allora, intendeva investire ben oltre 700.000,00 di euro per effettuare una serie di interventi volti non a produrre di più, ma a produrre meglio. Cosa è cambiato? Quale é stata la causa di un così repentino e totale cambio di direzione? Per quale motivo, nell’ottica della necessaria dismissione di almeno una Raffineria in Italia, Gela, a differenza di altri siti meno performanti, è stata “sacrificata” nonostante dai nostri pozzi continui ad essere estratto greggio in quantità significative che poi, con aggravio di costi, viene trasportato in altri stabilimenti industriali per essere lavorato…!!??
Vede presidente Renzi, io ho stigmatizzato questo protocollo sin dall’inizio e l’ho sempre guardato con “riverente” diffidenza non perché non credessi nel progetto ivi contenuto ma per il semplice fatto che (a mio avviso) era poco cautelativo nei confronti dei lavoratori e della città. Il tempo, che è galantuomo, mio malgrado, mi ha dato ragione.
In tutto questo, però, piangersi addosso non serve a nessuno e oggi, più che attribuire delle responsabilità a chicchessia, è importante fornire delle risposte al territorio poiché, come ho sempre sostenuto, se non si daro Presidente Renzi, facendo perdere il lavoro alla gente abbiamo tolto loro la dignità, non rubiamogli anche la speranza. Il senso del dovere, che il ruolo ci impone, ci obbliga a lottare e batterci per trovare una soluzione a questo territorio e alle famiglie che lo abitano, e se questo è il Suo intento, come sono sicuro che sia, potrà certamente contare su di me.”