Gela. Avrebbero presentato una documentazione difforme rispetto all’effettivo progetto messo in atto per la posa e l’interramento della linea P2 bis della fabbrica Eni. Difformità che avrebbe potuto trarre in inganno la speciale commissione formata per il collaudo della pipeline.
Per questa ragione, sono finiti sotto processo l’ex amministratore delegato di raffineria Battista Grosso e il professionista Sergio Ambrosio.
Durante l’udienza svoltasi davanti al giudice Domenico Stilo, diversi testimoni si sono succeduti rispondendo alle domande poste dai legali di difesa e dal pubblico ministero Lucia Lotti. Stando all’accusa, infatti, il contenuto dei documenti che ricostruivano i passaggi essenziali nelle operazioni svolte sarebbe stato modificato.
Ai tecnici di raffineria, a quelli del gruppo Saipem e agli operatori del consorzio Cns che si occuparono dei lavori venne imposto dalle autorità d’interrare la pipeline in diversi punti: operazioni, invece, che non sarebbero state eseguite a causa di diversi problemi tecnici.
Nonostante ciò, la documentazione inviata alla commissione di collaudo avrebbe contenuto dati che, falsamente, confermavano il rispetto di tutte le indicazioni giunte. Solo le verifiche effettuate nei fondali dello specchio d’acqua che costeggia la fabbrica permisero agli operatori della capitaneria di porto d’accorgersi delle incongruenze. Uno degli imputati, il professionista Sergio Ambrosio, difeso dall’avvocato Rocco La Placa, ebbe l’incarico di dirigere i lavori per conto di Saipem.
Tutti i testimoni ascoltati, comunque, hanno confermato la sussistenza, in quell’ottobre di cinque anni fa, di diversi problemi tecnici nelle fasi di interramento della linea P2 bis. “Cambiare sistema d’intervento – ha ammesso uno dei testi – avrebbe comportato un aumento eccessivo dei costi”. L’opera, in base a ciò che è emerso, costò al gruppo Eni circa trenta milioni di euro.