Disastro ambientale, “contaminazione grave ed estesa”: chieste nove condanne e sette assoluzioni

 
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Gela. Un’inchiesta assai vasta che ha messo insieme le risultanze di anni di indagine sulla presunta contaminazione ambientale determinata dall’attività del sito industriale Eni e dal ciclo delle altre aziende del gruppo multinazionale impegnate sul territorio. Questa mattina, il pm Gaetano Scuderi, in presenza del procuratore capo Salvatore Vella e degli altri pm della procura, Luigi Lo Valvo e Dina Aletta, ha esposto la propria requisitoria, senza nascondere che l’ufficio di procura probabilmente non era nelle condizioni di sostenere una mole di lavoro come quella alla base di un’indagine che condusse a contestare il disastro ambientale innominato. Sono nove, in totale, le richieste di condanna indicate dal pubblico ministero e tutte avanzate nei confronti di manager Eni. Tre anni di reclusione sono stati avanzati per Battista Grosso, Bernardo Casa, Settimio Guarrata, Alfredo Barbaro, Marcello Tarantino, Lorenzo Fiorillo, Antonino Galletta, Renato Maroli e Massimo Barbieri. Assoluzione “perché il fatto non costituisce reato” invece per Salvatore Losardo, Michele Viglianisi, Arturo Anania, Emanuele Caiola, Paolo Giraudi, Massimo Pessina e Rosario Orlando. Il non doversi procedere per intervenuta prescrizione è stato fatto rilevare infine per le posizioni di Giuseppe Ricci, Pietro Caciuffo e Pietro Guarneri. Una sanzione di trecentomila euro è stata richiesta per la società Raffineria di Gela. Il resto delle contestazioni è ormai prescritto, come precisato dal pm. Il magistrato ha passato in rassegna presunte anomalie e violazioni nel processo produttivo del sito locale. “Che la falda sia stata inquinata è evidente”, ha detto. Ha parlato di un fenomeno di contaminazione “grave, esteso e complesso”. Per la procura, “la contaminazione è durata anni e ancora oggi non è stata rimossa”. Dal sistema Snox e fino al pet-coke passando per “la barriera fisica inidonea”, l’accusa ha tratteggiato gli aspetti principali che avrebbero favorito il danno patito dal territorio e dalla città, in termini ambientali e di salute collettiva. “La percentuale di tumori in quest’area è superiore alla media”, ha aggiunto. Procedimenti di bonifica andati avanti a passi “da elefante” dimostrerebbero che Eni avrebbe cercato di risparmiare, per contenere le perdite economiche. Aprendo il suo intervento, il pm ha inoltre ricordato la sentenza di condanna, emessa in primo grado dal tribunale di Cassino, rispetto al tentativo di corruzione subito da uno dei periti tecnici che si occupò dell’inchiesta sul disastro ambientale. Gli sarebbero stati offerti circa 150mila euro per rilasciare conclusioni favorevoli. Proposta che venne respinta dell’esperto.

Il magistrato ha comunque riferito, durante la lunga requisitoria, che l’azienda ha provveduto nel tempo a completare i doppi fondi dei serbatoi. Riferendosi inoltre alla sussistenza di una contaminazione di suolo e falda “anche pregressa”. Sulla stessa linea della procura, le parti civili. Per la condanna degli imputati e il riconoscimento del diritto al risarcimento dei danni hanno concluso, tra gli altri, l’avvocato Dionisio Nastasi per conto del Comune e l’Avvocatura dello Stato, con il legale Giuseppe Laspina, per il Ministero dell’ambiente. Parti civili sono inoltre le associazioni “Aria Nuova” e “Amici della Terra-Gela”, rappresentate dai legali Joseph Donegani e Giuseppe Smecca, molti cittadini e proprietari terrieri che avrebbero subito danni alla salute e alle loro stesse attività, spesso a ridosso dei siti Eni. Sono assistiti dagli avvocati Nicoletta Cauchi, Maurizio Scicolone, Raffaela Nastasi, Claudio Cricchio, Tommaso Vespo, Enrico Aliotta, Emanuele Maganuco, Giovanna Cassarà, Francesco Spataro, Pietro Stimolo e Laura Cannizzaro. Le difese, attraverso perizie tecniche, durante il complesso dibattimento, hanno respinto le accuse e ribattuto circa il rispetto delle procedure impartite dalle autorità competenti. Nel corso della prossima udienza, davanti al collegio penale del tribunale presieduto dal giudice D’Amore (a latere Nicastro e Scuderoni), toccherà proprio ai legali degli imputati esporre le conclusioni.

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