Gela. Verrebbe da scrivere che, alla fine, ha sempre ragione la “mamma”, ovviamente l’Eni.
Di chi è la colpa? Quanto sta accadendo, con decine e decine di posti di lavoro persi, bonifiche non sempre al passo degli accordi sottoscritti, protocolli che vengono e vanno e investimenti che tutti aspettano come il sole nelle domeniche d’estate, è colpa di Crocetta? E’ colpa di Fasulo? E’ colpa di Messinese o del suo vice Simone Siciliano? Mettiamola così, è colpa loro, ma anche di tanti altri sindaci, presidenti della Provincia o della Regione che li hanno preceduti. E’ colpa di un sindacato che, forse, non è mai stato conflittuale ma solo concertativo, impegnato a gestire i flussi dei lavoratori, qualche assunzione qua e là, qualche trasferta, qualche premio di produzione, qualche passaggio padre-figlio, qualche pensione d’oro. La magistratura locale ha imbastito maxi e mini procedimenti, ma non sempre se ne vedono i risultati. E’ colpa, ancora, di chi aveva il lavoro e non fiatava, ed è colpa di chi ha iniziato a fiatare solo dopo che il lavoro pian piano evaporava. Sì, perché quanto sta accadendo è colpa anche dei lavoratori, mai pronti a difendere seriamente la “loro fabbrica”. Ora che il lavoro non c’è più, tanti cercano di sbracciarsi, altri se ne vanno e non ci pensano più, altri ancora il posto se lo sono garantito e perché dovrebbero pensarci su? Una grossa fetta di responsabilità, ovviamente, è anche di una città che ha cavalcato per decenni l’onda dell’industria (al posto di lavoro in fabbrica pochi hanno rinunciato…anzi!), ingoiando morti, malformati e via crucis tra ospedali, centri specializzati e, purtroppo, cimiteri.
La politica…quella che non sa niente. La politica, però, la scala della colpa la percorre per prima. Il presidente della Regione Rosario Crocetta all’Eni doveva chiudere tutti i pozzi, sappiamo come è andata a finire. L’ex sindaco Angelo Fasulo, subito dopo la firma del protocollo d’intesa sulla riconversione della raffineria, era certo che non si sarebbe perso neanche un posto di lavoro, sappiamo come è andata a finire. Domenico Messinese e il suo vice Simone Siciliano, che ha in mano l’intero dossier Eni, sono gli ultimi arrivati. Certamente, sulla scala traballante delle responsabilità non occupano i primi gradini, ma erano entrati in municipio, quando ancora erano grillini, con l’impegno di dettare loro le regole del gioco, in giunta avevano anche messo Fabrizio Nardo, che con i manager del cane a sei zampe non va esattamente a braccetto, ma sappiamo tutti come è andata a finire. Ora, in consiglio comunale tutti non sanno niente di come girano le cose con l’Eni. Il Partito Democratico, con i consiglieri comunali in testa, vuole addirittura riaprire la trattativa e rivedere il protocollo di tre anni fa. Sembrano quasi Lucio Greco e Alessandro Pagano che ai tempi del Nuovo Centro Destra, oggi morto e sepolto, erano arrivati in municipio dicendo praticamente le stesse cose. Ovviamente, in quel caso i dem erano ancora impegnati a difendere Angelo Fasulo che la firma sul protocollo l’aveva già messa. Adesso, invece, “muoia Fasulo con tutti i filistei”. Anche tra i banchi del centrodestra, che negli ultimi decenni ha comunque contato pochino in città, non tutte le note sembrano prese alla perfezione. L’attuale leader locale di Forza Italia, il deputato regionale Pino Federico, grida alla “truffa” da parte di Eni, attacca tutto e tutti perché quel protocollo non si doveva neanche firmare. Purtroppo, però, a quel protocollo si arriva perché prima ancora tanti, compreso lui stesso che ha rivestito praticamente tutte le cariche di spessore del territorio, ad eccezione di quella di sindaco, hanno messo sotto il tappeto politico tutte le avvisaglie di quello che stava per accadere.
Siamo sempre verticali. Ma la colpa non è del Pd, di Pino Federico, di Rosario Crocetta, di Angelo Fasulo, di Domenico Messinese o di Simone Siciliano. Contano il giusto, passeranno come sono passati, prima di loro, altri sindaci e altri presidenti della Regione. Questa città, purtroppo, ha sbagliato, pensando invece di averci azzeccato. Abbiamo scelto l’Eni? E l’Eni ci teniamo. Al tavolo possono sedersi tutti, Crocetta, Fasulo, Messinese, sindacati e relativi annessi, le regole le detta sempre la mamma…sempre l’Eni di cui sopra. La green refinery entrerà a regime oltre i tempi previsti? E’ così, l’ha detto l’Eni. Niente piattaforma Prezioso K ma la base a terra? E chi fiata, l’ha detto l’Eni (la piattaforma, poi, era impattante per l’ecosistema marino…anzi, grazie Eni). I posti di lavoro nell’indotto si ridurrano punto e basta? L’ha detto l’Eni, cosa vuoi rispondergli? Gran parte dei garantiti, quelli con il tesserino dell’azienda, non certo quei “bastardi senza gloria” dell’indotto (giusto per riecheggiare la filmografia di Tarantino), sono in viaggio verso altri lidi, in Italia e all’estero? Anzi, mantengono il posto di lavoro…l’ha detto l’Eni, cosa vuoi fare? Di recente, Marco Marzano e Nadia Urbinati hanno dato alle stampe un nuovo saggio. Uno di quei libri che praticamente non compra nessuno, ma che se lo leggi qualcosa ti rimane. Staremmo vivendo in una società orizzontale, le gerarchie, anche quelle della fabbrica di un tempo, non esisterebbero più, o giù di lì. Peccato, però, che questa città sembra essere solo verticale. Ci hanno tradito i padri, ma la mamma, sempre l’Eni di cui sopra, detta la lista della spesa, ci dice quando rincasare e quando uscire, si siede sempre a capotavola e, se sbagli, ti guarda come per dire…”lo sai chi comanda o devo spiegartelo?”.