Gela. Era un covo della Stidda, ma nonostante una confisca oggi è regolarmente abitato dalla figlia dell’esponente malavitoso Crocifisso Lauretta di 54 anni.
Lo “stiddaro” è ritenuto uno degli autori della strage della sala giochi contro Cosa nostra, sfociata il 27 novembre del 1990 con l’uccisione di 8 persone e 7 feriti in quattro agguati simultanei.
Quell’edificio abusivo costruito abusivamente in via Vincenzo Foppa, nel rione Settefarine nell’estrema periferia a nord del centro abitato di Gela, nel 1997 è stato confiscato per un quarto.
La restante parte è ancora abusiva, perché il Comune respinse la richiesta di sanatoria avanzata da Lucia Cosenza di 50 anni, moglie di Lauretta. Quello che è successo immediatamente dopo dovrà essere chiarito dall’amministrazione comunale.
Il 4 gennaio del 2007, l’allora sindaco Rosario Crocetta, accompagnato dalla scorta armata, indisse una conferenza stampa proprio nel covo della Stidda abbandonato, di via Giacomo Amato 63 (divenuta successivamente via Foppa). Le pagine di cronaca nera dei quotidiani tappezzavano ancora le superficie vetrate delle finestre.
Per Crocetta sarebbe dovuto diventare un centro sociale per i giovani del quartiere Settefarine. Un vero riscatto della società che salutava con orgoglio la confisca dello Stato di quel simbolo della mafia. A distanza di cinque anni di quel centro non solo non c’è traccia ma da simbolo della mafia è diventato emblema di ogni illegalità.
Vi abitano le figlie dell’ex boss della Stidda Crocifisso Lauretta e al piano terra e primo piano è stato innalzato un secondo piano e sono spuntati i telai in metallo sul terrazzo. Il sindaco Angelo Fasulo, ieri, nel corso di una conferenza stampa, in compagnia dell’assessore all’Urbanistica Giuseppe D’Aleo, ha detto di avere nominato una commissione d’inchiesta e avviato dei conteggi per imporre ai Lauretta il pagamento di una indennità a equo canone relativa all’occupazione dell’edificio, riservandosi di emettere eventuale ordinanza di sgombero.
“Entro 5 giorni, a conclusione dell’indagine – spiega Fasulo – avremo un quadro ancora più chiaro della vicenda”.
Intanto, l’assessore D’Aleo annuncia “provvedimenti sanzionatori e denunce nei confronti di Enel e Caltaqua che hanno ignorato una ordinanza che vieta di garantire la fornitura agli immobili non in regola”. Anche l’autorità giudiziaria ha aperto un’inchiesta per fare luce su quell’immobile oggi occupato da una figlia di Lauretta, che l’ha reso abitabile, mentre il Comune parlava di destinare l’edificio a centro sociale o casa alloggio.
Intanto, anche i funzionari dell’agenzia nazionale per i beni sequestrati, a metà settembre, sono intervenuti sui beni confiscati alla mafia, sollecitando inutilmente degli interventi.
Negli uffici di Palazzo di Città è giunta una comunicazione inviata direttamente dalla sede nazionale dell’agenzia a Reggio Calabria. La missiva chiede di accelerare i tempi e dare seguito ai progetti per la riconversione sociale dei beni finiti”.